COMMENTO AL VANGELO IV DOMENICA DI AVVENTO – ANNO C

Nella quarta domenica di Avvento, possiamo osservare questa stupenda scena di Maria e Elisabetta. La storia di un cammino, animato dalla gioia dello spirito. Qui si intreccia la storia dell’Antico e del Nuovo Testamento. La donna anziana porta l’attesa dell’umanità, mentre la ragazzina porta l’atteso dell’umanità. Il riconoscimento avviene tra i due bimbi nel grembo. Un brano che ci illumina su come riconoscere il Signore che viene.

Maria va a visitare Elisabetta, che si era nascosta per il troppo stupore della sua gravidanza tardiva. È la visita del Signore al suo popolo, e il Battista lo riconosce. È il desiderio più bello di Dio, di essere riconosciuto dagli uomini. Maria va in fretta, non con ansia, non per curiosità, ma per amore e amicizia. Per vedere un segno annunciato dall’angelo, che è Elisabetta. Il significato di ciò che è avvenuto in sé stessa. I monti della Giudea, il creato, dialogano di nuovo nella storia biblica. Sono i monti della rivelazione dell’Antico Testamento, della tradizione ebraica. Per trovare il segno, dobbiamo percorrere i monti della nostra storia, come Maria. Solo lì possiamo conoscere la promessa, l’attesa di Dio.

Se non c’è attesa, non c’è atteso. L’uno ha bisogno dell’altro. In questo cammino c’è l’abbraccio tra queste due realtà stupende, che rappresentano la nostra sete di un incontro definitivo, un Dio che è dono. Senza attesa, non c’è nessun atteso: quanta tristezza al ritorno a casa, quando nessuno ci aspetta! Senza incontro c’è la frustrazione.

Maria saluta Elisabetta, le porta la pace, in un modo molto particolare. Sono parenti, e devono incontrarsi. La prima cosa che avviene, in questo incontro, è una danza di gioia! Come “fratello fuoco è iocundo”, con quel fuoco dello Spirito, danza il Battista, danza tutta l’umanità. Il fine di tutta la storia è questo riconoscere il Messia: il dramma di Dio è non essere riconosciuto, di non essere abbracciato. Lui si rivela ogni giorno, nel povero, nel creato, nella bellezza, nel silenzio, e noi non lo riconosciamo. “L’amore non è amato” diceva Francesco di Assisi.

Maria definita benedetta come Giaele, come Giuditta, che tagliano le teste dei nemici, perché schiaccerà la testa del serpente. E Gesù viene associato a una immagine del Creato, è un frutto! Dio è il dono supremo! La danza e la domanda “A che cosa devo…” ci fanno ricordare l’esclamazione e la danza di Davide davanti all’arca dell’alleanza. Maria è la nuova arca dell’alleanza, in cui nel santuario c’era la presenza di Dio nell’assenza, nella parola. In Maria, la parola ascoltata diventa carne, diventa presenza.

Ciascuno di noi può essere santuario, se diamo carne alla parola, se la ascoltiamo. Se una parola non è ascoltata, è nulla. Se è ascoltata, è gioia!! È stupore! È Laudato Si’… Anche Francesco vive questo conflitto con la Parola, “nullu homo ene dignu te mentovare”. La gioia è la firma che Dio pone nella sua opera, anche senza uso di parole! Siamo chiamati a contemplare questa gioia, a riconoscerla e farne memoria. Spesso noi corriamo, siamo fuori di noi stessi, ma entrando in noi stessi possiamo riconoscere il Signore.

Questo abbraccio bellissimo tra Maria e Elisabetta sembra ritratto stupendamente dalle ultime parole del Cantico delle Creature, quando Francesco cantava: “Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate e serviteli cum grande humilitate” (FF263).

La beatitudine, la felicità fondamentale, è avere fiducia in Dio, alla sua parola. Vi auguriamo con tutto il cuore di avvicinarvi a questo Natale con questa beatitudine. Buona quarta domenica di Avvento!

Antonio Caschetto

Coordinatore dei Programmi per l’Italia del Movimento Laudato Si’