“Basta con un’economia senza etica”

Intervista del direttore del Corriere dell'Umbria al vescovo Sorrentino.

ASSISI – Pubblichiamo qui di seguito l’intervista del direttore del Corriere dell’Umbria Anna Mossuto al vescovo della diocesi di Assisi -Nocera Umbra – Gualdo Tadino monsignor Domenico Sorrentino che parla a tutto tondo di crisi aziendali, delle vertenze più importanti del suo territorio come Tagina, ex Merloni e Colussi, dell’impegno della Chiesa per i poveri, del ruolo della politica e dei cattolici.

Eccellenza, lei è uno dei massimi esperti della figura e del pensiero del beato Giuseppe Toniolo, economista e promotore  delle Settimane Sociali dei cattolici. Che direbbe, secondo lei, Toniolo dell’attuale situazione economica e sociale?

 

Denuncerebbe un’economia che prescinde dall’etica e non mette al centro l‘uomo. Certamente, non si può distribuire una ricchezza che non c’è, e dunque non si può fare a meno del profitto.  La legge del mercato è dura. Non si possono tuttavia avallare operazioni svantaggiose per i lavoratori che non siano strettamente necessarie. Occorre fare ogni sforzo per salvaguardare l’occupazione.  Peraltro i lavoratori sono i primi interessati ad aziende vitali. Quando sono coinvolti, e non come meri esecutori, in un clima aziendale rispettoso e amichevole, magari incentivati da una qualche partecipazione agli utili, diventano  la forza dell’azienda, i suoi migliori alleati, capaci di solidarietà nei momenti più difficili. Importante a tal fine il  ruolo di un sindacato che meriti  la fiducia dei lavoratori, ne tuteli fino in fondo i diritti, e al tempo stesso ne ricordi i doveri. Un assenteismo ingiustificato, ad esempio, è insostenibile. Non solo fa male ai conti dell’azienda, ma pregiudica anche i lavoratori onesti. Sono verità elementari ,che vanno coltivate nella cultura e nell’opinione pubblica. Devono trovare  anche il sostegno  della politica. Una politica vicina alla gente, sottratta alle beghe di palazzo,  promotrice di leggi giuste e di scelte sagge che attirino gli investimenti e proteggano i lavoratori. Una politica di respiro globale, ispirata alla cultura dei diritti umani, e impegnata a farli riconoscere in tutte le regioni del mondo. Cosa tutt’altro che facile, ma non c’è alternativa. È il futuro.

 

 

Il lavoro è la prima emergenza di questa regione tra posti che si continuano a perdere e giovani che sono condannati al precariato o ad andarsene. Nel suo territorio diocesano ci sono almeno tre vertenze pesanti, ex Merloni, Tagina e da ultimo Colussi che lei sta seguendo da vicino, come?

 

Da anni il territorio diocesano è sferzato da una pesante crisi dell’occupazione. Quella dell’ex Merloni è la più vistosa, e non si  intravede ancora una luce. Sarebbe importante almeno far chiarezza. Accanto ad altre  criticità meno note,   recentemente anche la Tagina e la Colussi sono in fibrillazione. Ma ogni azienda è un caso a sé. Non ho dati sulla Tagina. La Colussi, a quanto mi risulta, ha dovuto fare i conti con esuberi e si propone un piano di rilancio.  Gli stessi sindacati, con l’adesione di buona parte dei dipendenti, hanno preso  atto della politica aziendale, accettando un notevole numero di licenziamenti.  Occorre sia chiaro a tutti che licenziare anche un solo lavoratore dev’essere un’extrema ratio. Il lavoro – ricorda papa Francesco – è dignità, non solo retribuzione. In ogni caso  occorre attuare le  politiche di rilancio aziendale  in modo trasparente e oggettivo, con criteri che   tengano conto dei carichi di famiglia e dei bisogni delle persone, per non creare un clima di paura e, tanto peggio, imporre nuovi contratti irrispettosi della dignità delle persone e delle famiglie. Mi dà speranza che la proprietà della Colussi, da me interpellata, mi  ha dichiarato a riguardo la sua sensibilità. Vedremo.

 

 

 

Dall’ultimo rapporto della Caritas la povertà, che è lo specchio fedele della crisi economica, aumenta nella nostra regione. A questa povertà nostrana, si aggiunge la situazione degli immigrati che in Umbria sono oltre tremila. Le istituzioni, Chiesa compresa, fanno abbastanza?

 

Credo che si faccia tanto, ma non  all’altezza delle necessità. La politica dovrebbe interrogarsi sulle sue scelte strategiche, e fare di tutto per non smantellare lo Stato sociale, a servizio soprattutto delle fasce sociali più deboli. L’accoglienza degli immigrati è un atto di umanità e di civiltà. Vanno messe a punto le norme che la regolano anche in base all’esperienza, ma non cedendo a ingiustificate paure. Quanto alla Chiesa, mi pare che essa, soprattutto con la  Caritas,  faccia tutto quello che può. Ma di fronte ai nuovi volti della povertà, questa carità “istituzionale” dev’essere integrata da una  solidarietà  più capillare  e comunitaria, ad imitazione della prima comunità cristiana, nella quale si giungeva a mettere in comune i beni perché nessuno fosse povero. Un progetto pastorale come quello che abbiamo varato ad Assisi – la ristrutturazione delle parrocchie in piccole comunità che si ritrovano intorno al vangelo vissuto in fraternità – va in questa direzione. Ma siamo ben lontani dall’ideale.

 

 

L’impegno dei cattolici in politica. ‘In questo momento storico e di fronte alle sfide che ci attendono, i cattolici non possono restare spettatori ma dovrebbero dare il loro contributo per migliorare la realtà in cui vivono e per restituire alla politica la necessità di una tensione ideale e la missione del bene comune. Lo ha più volte ripetuto il Papa ma quest’appello non sempre e ascoltato forse anche pe le difficoltà di tradursi in un movimento come era una volta. Qual è il suo pensiero? 

 

C’è, nella Chiesa italiana, chi vive di nostalgia del “partito cattolico”.  C’è chi invece si rassegna a una diaspora che marginalizza il ruolo dei cattolici. Io penso a  una via che potrebbe far la differenza: rimettere insieme i cattolici non tanto in un partito, quanto in uno spazio pre-politico forte, che consenta loro di stabilire intese significative su quanto è davvero fondamentale e imprescindibile. Un impegno per la vita, per la famiglia, per il lavoro, per l’accoglienza, per i diritti umani, per la pace, che vada oltre generiche affermazioni di principio, e si declini in orientamenti concordati, capaci di affermarsi anche nelle aule parlamentari, può essere il nuovo volto di una politica cristianamente ispirata nell’epoca del pluralismo. In certo senso si tornerebbe  – fatte le debite differenze –   alla formula degli anni del  Toniolo, quando ai cattolici  era  negato, per la cosiddetta “questione romana”, di partecipare alla politica. Si optò allora per un forte impegno sociale (il “movimento cattolico”) che ispirava la politica dal basso e preparava i cattolici alla   futura partecipazione politica.  Le “scuole di formazione socio-politica” (ad Assisi ne abbiamo una  intitolata proprio a Giuseppe Toniolo) potrebbero dare un contributo in questo senso.  Urge una strategia pastorale nazionale. È tempo di un laicato più coeso, pur  nella pluralità dei partiti di riferimento, per dar voce al contributo cristiano nella vita sociale e politica.