COMMENTO AL VANGELO, II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Il nostro cammino sui passi del vangelo questa domenica ci presenta la famosa scena delle nozze di Cana. Oggi vediamo dove sta di casa Gesù. Questo brano nel vangelo di Giovanni si trova dopo che i discepoli hanno chiesto “dove abiti”? E proseguirà con l’entrata nel tempio con una frusta. Dio ce lo aspettiamo in un tempio, e invece lo ritroviamo in una festa. Sin dai primi passaggi del vangelo di Giovanni, Gesù ci stupisce! Pure con seicento litri di vino buono!

L’inizio del vangelo di Giovanni è strano. Con tutti i problemi che ci sono nel mondo, Gesù si occupa di vino? Essendo il principio dei segni, anche gli altri vanno letti in base a questo. Noi siamo abituati a vedere Dio della legge, del castigo, del giudizio. È scandaloso che Gesù si presenti aggiungendo vino buono! Dove abita Dio? Abita solo nei precetti, o abita nella quotidianità, nella bellezza delle relazioni, nell’amicizia? Gesù si presenta così.

Il brano di oggi inizia come sempre con l’espressione “In quel tempo”, ma nel testo di Giovanni riferisce “al terzo giorno”, cioè dopo che i discepoli avevano chiesto “dove abiti”, dandoci già un riferimento temporale importante. Il terzo giorno è il giorno definitivo, la resurrezione. Quella domanda nasceva, a sua volta, in un “terzo giorno” della settimana inaugurale del racconto giovanneo, quindi l’evangelista vuole dirci che siamo al sesto giorno, il giorno in cui fu creato l’uomo, il compimento del Creato, il giorno che prepara al riposo. Infatti la scena presenta, come alla fine delle Scritture, una scena nuziale. L’antico testamento si chiudeva infatti con il Cantico dei Cantici.

Dio ci dà dei comandi. Ma tutte le leggi di Dio vanno sempre lette con uno sguardo nuziale, con il senso dell’amore. Senza l’amore, anche l’osservanza meticolosa di tutti i precetti rimane vuota. Si rischia di fare l’errore del “fratello maggiore”, che svolgeva tutti i doveri in casa del padre misericordioso, ma non ne capiva l’amore. Anche lì c’è una festa, e il fratello maggiore infatti non capisce. Tutta l’alleanza con il popolo di Israele è un patto nuziale. Il popolo di Dio è spesso associato all’immagine della sposa. Adamo ed Eva, sin dai primi versi, fuggono da questo amore per paura, e Dio li cerca. È un po’ tutta la storia di Dio con l’umanità, una ricerca animata dall’amore, che si chiude, nella Sacra Scrittura, con la scena nuziale dell’Apocalisse.

La madre di Gesù è lì. Sono lì le giare di pietra. Gesù la chiama “donna”, è la sposa che ama Dio. Viene a mancare il vino. Un segno preciso: mentre pane e olio sono fondamentali per nutrirsi, il vino è un di più. Ma qualcosa indispensabile per essere umani, per rallegrare il cuore: se ci limitiamo solo a mangiare e bere, siamo delle bestie! L’uomo invece vive per gioire. Viene a mancare il vino, una esperienza che spesso ci capita di provare: magari abbiamo abbondanza di cibo, di lavoro, di servizi, di benessere, ma ci manca la gioia, l’amore, un senso di vita. La vita, ripiegata sul bisogno di cercare “pane e olio” perde la sua dimensione di festa, la relazione con gli altri.

Ad accorgersene è Maria. “Non hanno vino”: la funzione di Maria è rappresentare l’umanità in rapporto con Dio, colei che accoglie e dialoga. Qui a Cana, come sotto i piedi della croce. Gesù non la chiama “mamma”, ma donna. Non è un tono dispregiativo, tutt’altro, anzi ha un significato profondo: Maria è madre, ed è anche “donna”, è sposa, è alleata. Anche l’espressione “che vuoi da me?” indica, nel linguaggio diplomatico delle alleanze dell’epoca, l’espressione “che a me e a te”, usata durante le controversie per ribadire i doveri reciproci dell’alleanza. Se non c’è gioia, che manchi il vino, questo ti importa, perché sei un mio alleato!

“Non è ancora giunta la mia ora” si potrebbe leggere quindi come “Non è ancora giunta la mia ora?” (ricordiamo che nei codici antichi non c’era la punteggiatura, quindi è probabile che l’espressione fosse una domanda). Infatti, dal seguito del brano, si vede che per Gesù è giunta la sua ora! Finalmente è l’ora di portare vino e gioia nell’umanità!

È adesso l’ora, non bisogna aspettare un futuro indefinito. Adesso noi dobbiamo agire, basta attingere, perché il Signore è già presente. La risposta di Maria non contraddice quello che dice Gesù, ma anzi da seguito alla domanda del figlio. È lei che parla ai servi, che – forse non ci facciamo caso – sono gli artefici reali del prodigio. Chi materialmente compie il miracolo, con l’azione concreta, non è Gesù la cui azione rimane “immobile”, ma i servi che riempiono d’acqua le giare e che portano il vino al maestro di tavola. “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” richiama l’espressione del popolo di Israele dopo aver ricevuto la legge dell’alleanza, in cui dice “noi faremo tutte queste parole”. Questa è una nuova alleanza.

La madre e le giare “erano lì”, c’è una similitudine tra sorella acqua e Maria, come ci piace sempre notare nel Cantico delle Creature, dove Francesco definisce l’acqua “molto utile, umile, preziosa e casta”, con quattro aggettivi che raffigurano la Vergine. Le giare sono sei, il numero dell’uomo, il sesto giorno in cui fu creato, e quello che avverrà in queste nozze è la creazione dell’uomo nuovo. L’acqua è elemento primordiale della creazione. Sono di pietra, un richiamo alle tavole della legge scolpite sulla pietra. Si parla di purificazione dei giudei, di riti, di pratiche della legge. Ma le giare erano vuote: non aveva senso vivere!

Gesù ordina di riempirle. Quante volte la nostra vita è tutta in ordine, negli obblighi, anche nella nostra comprensione di essere creature, nei precetti, ma poi ci accorgiamo che questa stessa vita è vuota. Solo Cristo può riempire di senso tutto questo ordine! L’acqua è il desiderio dell’uomo, Gesù ci chiede di usare l’acqua per riempire la vita, riempirla di desiderio. È l’acqua che diventa vino bello! Invece noi, spesso, siamo bravi a tramutare il vino del vangelo in acqua, ad “annacquarlo”, a raccontare solo i precetti, la tristezza!

Attingete, adesso, da quell’acqua che è Cristo. Lui è l’uomo completo, l’uomo perfetto. Attingiamo da lui, adesso! Ma è solo acqua? No, è già vino, è già bellezza, è già gioia, in quantità smisurata, seicento litri. Puoi sempre attingere, è sempre disponibile! Quanto bella può diventare la nostra vita, se prendiamo questa consapevolezza! Il miracolo non viene neppure raccontato. Non ci interessa il dettaglio di come si trasforma, ma il fatto che il vino è buonissimo. Il miracolo, a pensarci bene, sta nell’ascolto dei servi. Il miracolo sono i servi che ascoltano. Immaginate se l’uomo agisse ascoltando la parola di Dio, quanti miracoli nel nostro bel pianeta!

Il maestro di tavola è l’intenditore, il maestro della legge, il teologo, e nel racconto compare prima dello sposo. Lo sposo di fatto è Gesù, colui con cui dialoga il sommelier. Il maestro della legge non sa da dove viene questo vino nuovo, perché non lo produce lui. Questa nuova teologia portata da Cristo la capisce solo chi la vive, chi ne fa esperienza, anche nell’umiltà della vita quotidiana. Infatti i servi “conoscevano bene” da dove venisse!

Di solito prima si serve il vino buono. Nella nostra vita, spesso, prima viviamo il vino bello, nella giovane età, nel principio dei nostri rapporti umani, nel nostro lavoro, nelle nostre passioni. Poi, pian piano, con il tempo, quando siamo un po’ ubriachi, il vino scadente, il decadimento, la vecchiaia. Quasi come se nella vita fossimo tutti destinati a una perenne parabola discendente. E invece, con Cristo, cambia il paradigma. Possiamo avere una opportunità, se scegliamo di attingere a piene mani da queste giare di pietra. Dio desidera che dentro la nostra vita, a ogni età, noi viviamo i nostri desideri in pienezza, in dolcezza, in bellezza! Il vero peccato è rinunciare a questi desideri.

Questo è il principio dei segni. Non è solo un “miracolo”, ma un segno, qualcosa di misterioso da comprendere a fondo. Il miracolo è qualcosa di strano, innaturale. Il segno è qualcosa che incontriamo nella vita ordinaria, ma che può avere un messaggio speciale. Non è importante ciò che si fa, ma ciò che comunica. Il vino è lui, è lui lo sposo! Questa la sua gloria, l’uomo che gioisce, l’uomo vivente.

Come dice San Francesco, “Noi siamo i giullari del Signore, e la ricompensa che desideriamo da voi è questa: che viviate nella vera penitenza ». E aggiunse: « Cosa sono i servi di Dio, se non i suoi giullari che devono commuovere il cuore degli uomini ed elevarlo alla gioia spirituale? ». Diceva questo riferendosi specialmente ai frati minori, che sono stati inviati al popolo per salvarlo” (Leggenda perugina n. 43).

Le giare sono sei. Seicento litri di vino! Pensate a quanta abbondanza di amore ci attende, se solo scegliamo di attingere da queste giare.

Antonio Caschetto

Coordinatore dei Programmi per l’Italia del Movimento Laudato Si’