DUE LUCI CHE SI FONDONO

San Francesco e Carlo Acutis in un libro dell’arcivescovo Domenico Sorrentino

Di seguito l’articolo sul libro di monsignor Domenico Sorrentino dal titolo “Originali, non fotocopie. Carlo Acutis e Francesco d’Assisi”  pubblicato a pagina 7 de L’Osservatore Romano di domenica 7 aprile.

di NICOLA GORI

Due personaggi riescono a farsi comprendere dai giovani con il loro linguaggio e a farli sognare: san Francesco d’Assisi e il venerabile Carlo Acutis. Due esistenze lontane nel tempo: uno vissuto nel Medioevo, l’altro ai nostri giorni. Entrambi nati da famiglie benestanti, ma con il desiderio di vivere in povertà. Tutti e due espressioni di vita, di ricchezza spirituale, di fedeltà a Cristo. Ne parla monsignor Domenico Sorrentino, arcivescovo vescovo di Assisi – Gualdo Tadino – Nocera Umbra, nel suo ultimo libro dal titolo Originali, non fotocopie. Carlo Acutis e Francesco d’Assisi (Perugia, Edizioni Francescane Italiane, 2019, pagine 64). Le vicende di Francesco e di Carlo, definito come “il nuovo Francesco”, si intrecciano e attraversano tutto il libro. Il presule propone un avvincente paragone tra i due discepoli di Cristo: da una parte il grande Francesco, al cui fascino nemmeno Carlo riesce a sottrarsi, e dall’altra, un giovane dei nostri giorni, con il suo bagaglio culturale e la sua sviluppata intelligenza che lo porta a essere un vero e proprio genio informatico. Tutti e due però accomunati dalla passione per il Signore incontrato nell’Eucaristia e nei poveri e bisognosi che incrociano sulle loro strade. Il luogo privilegiato dell’incontro tra il Poverello e Carlo è Assisi, città benedetta da Dio che ha visto un fiorire di santità lungo tutto il corso dei secoli. Cosa lega il milanese Carlo alla città umbra? Solo l’ammirazione per Francesco? Monsignor Sorrentino ben lo spiega nel suo volume con un tono di entusiasmo e al contempo di rispetto. Carlo è diventato assisano per adozione, tanto da voler trovare l’ultima dimora nella terra di Assisi. E da sabato 6 aprile, la diocesi e la città lo hanno vincolato a sé ancor di più: da quando, cioè, le sue spoglie sono state traslate nel santuario della Spogliazione, l’antica cattedrale dedicata a Santa Maria Maggiore, nel cui attiguo palazzo vescovile, Francesco di Bernardone si spogliò delle sue vesti davanti all’e s t e r re f a t t o vescovo Guido. «Di pellegrini, gli assisani ne vedono passare tanti» scrive monsignor Sorrentino, ma Carlo «non fu solo un pellegrino». Durante i soggiorni prolungati che, insieme con la sua famiglia, faceva nella città del Poverello, «si annodava un rapporto», si sviluppava una simpatia che «non riguardava solo le memorie francescane della città, ma i cittadini stessi». Il suo ricordo è ancora vivo tra gli abitanti, come sottolinea il presule. C’è chi lo ha ancora presente mentre passeggia con il suo cane. C’è il negoziante che lo ritrae mentre, con la mamma, andava a fare spesa. Ma lo ricordano soprattutto i compagni di giochi con i quali condivideva i momento di svago e le corse tra la bellezza della natura. Il suo accattivante sorriso e il suo umorismo conquistarono ben presto la città. Le scorrazzate tra i campi rimandano a Francesco, a quando per muoversi da una località all’altra il santo aveva a disposizione solo i piedi. Eppure, nonostante le distanze abissali per quel tempo, egli riesce ad attraversare il mare e a raggiungere i luoghi della crociata, per incontrare il sultano d’Egitto. Carlo aveva tutto quanto la modernità poteva mettere a disposizione, compresi i nuovi mezzi di comunicazione sociale, tanto da incarnare «la santità dei “nativi digitali”». Egli, infatti, «si muove a suo agio nelle nuove vie, mettendo in termini di cultura informatica persino l’Eucaristia». Nasce così la mostra sui miracoli eucaristici. Niente di nuovo nei contenuti, spiega monsignor Sorrentino, ma la novità sta nel renderli familiari attraverso questo modernissimo linguaggio, trasformandoli in strumenti di evangelizzazione. Carlo, sottolinea il presule, non è un fanatico dei rapporti “virtuali”, anzi, sviluppa anche il rapporto personale, facendosi, all’occasione, testimone e catechista. Diviene così un vero apostolo del messaggio di salvezza, parlando di Gesù e dei sacramenti a quanti incontra, in modo da toccare il cuore. Da qui un interrogativo che l’arcivescovo pone quasi come provocazione: «Gesù avrebbe usato oggi il computer? E Francesco?». La risposta è semplice: Carlo ha potuto farlo, e lo ha fatto. La logica è la stessa: «Andate e fate discepoli tutti i popoli…» (Mt 28,19). Sappiamo della predilezione di Francesco per “madonna povertà”. Ma anche il giovane Carlo si lasciò interpellare dal grido dei poveri. Aveva imparato a passare con naturalezza dal Cristo del tabernacolo al volto di Cristo riflesso sugli indigenti. Perfino quanto riceveva denaro dai genitori e dai parenti l’offriva per la mensa dei poveri gestita dai frati minori cappuccini di Milano. Era, la sua, una carità nascosta, delicata, come sottolinea monsignor Sorrentino. Continuando su quella strada, alla scuola di Francesco, è da immaginare che la sua carità avrebbe assunto toni radicali, quelli del Vangelo. Un altro aspetto fondamentale della spiritualità di Carlo, come già in Francesco, è l’amore alla Vergine Maria. Lo esprimeva anche attraverso la recita quotidiana del rosario. È una preghiera per i giovani? Non è troppo ripetitiva, non è tanto noiosa? Monsignor Sorrentino se lo domanda, ma la risposta è immediata: quando è detto bene, è «tutt’altro che una meccanica cantilena. È la preghiera degli innamorati”». La missione di Carlo, fa notare, è farla apprezzare anche dai giovani. D’a l t ro n de, assicura l’arcivescovo, non sarà difficile nel santuario della Spogliazione, perché al suo interno conserva il segno mariano del suo titolo storico di Santa Maria Maggiore. Proprio in fondo alla navata destra della chiesa, quella dove è collocato il corpo di Carlo, si può intravedere — ma a stento, perché l’affresco è notevolmente deteriorato — un dipinto della Madonna del rosario. In questa chiesa dedicata alla Vergine, ricorda il presule, tante volte Francesco «avrà sostato, forse mentre andava, con il cuore in tumulto, a consigliarsi con il vescovo sulle sue scelte di vita. Lo sguardo della Madre lo avrà incoraggiato e consolato». Carlo oggi riposa sotto quello stesso sguardo e in qualche modo lo riflette. Anche come apostolo del rosario. Un arcano disegno ha legato Carlo in vita e in morte al santo di Assisi, conclude monsignor Sorrentino: una luce secolare, quella di Francesco. Una luce contemporanea, quella di Carlo. Due luci che si fondono. Nel santuario della Spogliazione, come Francesco, anche Carlo farà risuonare, specie per i giovani, le note del Cantico. Come un inno alla vita.

Ad Assisi

Centinaia di persone, soprattutto giovani in fila per toccare la bara, baciarla, accarezzarla e pregare ai piedi del corpo di Carlo Acutis, portato venerdì 5 aprile nella basilica inferiore di San Francesco di Assisi. Un lungo corteo di religiosi e laici ha poi accompagnato le spoglie del venerabile fino alla cattedrale di San Rufino dove monsignor Renato Boccardo, presidente della Conferenza episcopale umbra, ha presieduto la messa concelebrata dai presuli della regione. All’omelia l’arcivescovo di Spoleto-Norcia ha accostato ad Acutis la figura di Pier Giorgio Frassati. «Carlo — detto — è stato un ragazzo normale, straordinario nell’ordinario. Come Pier Giorgio anche Carlo riceveva ogni giorno la visita di Gesù nel pane eucaristico e gli restituiva la visita accogliendo e aiutando i poveri». In serata è seguita nella cattedrale di San Rufino la veglia per i giovani presieduta da monsignor Paolo Martinelli, vescovo ausiliare di Milano, che ha parlato di Acutis come di un giovane che «non si è chiuso in se stesso di fronte al mondo, alla società, ai cambiamenti, ma ha trovato in tutto questo un’occasione straordinaria per portare il Vangelo». Sabato pomeriggio le spoglie saranno portate nel santuario della Spogliazione per la messa celebrata dall’arcivescovo Sorrentino.

 

In allegato L’Osservatore Romano di domenica 7 aprile