“LA PASQUA CI IMPEGNI TUTTI A UNA VITA NUOVA NEL SEGNO DELL’AMORE”

L’omelia del vescovo di Assisi –Nocera Umbra – Gualdo Tadino monsignor Domenico Sorrentino nella veglia pasquale del sabato nella cattedrale di San Rufino

«Chi ci farà rotolare la pietra dall’ingresso del sepolcro?».

È la domanda delle donne che si recano al sepolcro di Gesù la mattina dopo il sabato.  E non sospettano che la pietra è stata già rotolata, che il   sepolcro è stato già vuotato.

Non c’è più morte ma vita. Non più il crocifisso ma il risorto.

 

Ci siamo commossi, ed eravamo in tanti, alla processione del venerdì santo. Purtroppo molti di coloro che hanno seguito le belle statue di Gesù morto e dell’Addolorata non sono presenti a questa veglia pasquale. Perdono molto. Ma prendiamone atto: siamo più coinvolti dall’immagine di  Gesù morto. Ci assomiglia di più. Ha i nostri tratti. Ci commuove come ogni esperienza di morte, soprattutto quando è la morte degli innocenti, quand’è la morte inattesa, quando è la morte  inflitta dall’arroganza del potere o dall’odio cieco.

 

L’annuncio di Gesù risorto si staglia sullo sfondo tenebroso della morte. La sua e la nostra.

La morte, lo vogliamo o no, ci appartiene come la vita. Un’evidenza a cui non è facile rassegnarsi Ci fa paura – e ci provoca anche ribellione – che la morte sia il nostro destino, che tutto debba finire in una tomba: la tomba dei nostri progetti, dei nostri desideri, dei nostri affetti.

E che senso ha vivere se poi bisogna morire?

 

Quel giorno di Pasqua di duemila anni fa quelle donne che si ripetevano: «chi ci farà rotolare la pietra del sepolcro?» riecheggiavano un interrogativo che inquieta da sempre il cuore dell’uomo. Non sapevano, non immaginavano, che stavano per fare la scoperta più grande della storia.

Si, la più grande!

La nostra generazione è testimone di meraviglie tecnologiche che stanno rivoluzionando la nostra esistenza. Scoperte scientifiche che ci danno la nostalgia, e talvolta la presunzione, dell’infinito.

Ma la scoperta fatta a Gerusalemme il giorno di Pasqua è l’unica che può dare senso a tutte le altre. È l’unica a dirci che il sepolcro non è il destino della storia, ma solo una sua strettoia, perché Gesù ha rotolato quella pietra, ha sconfitto la tirannia della morte, manifestandosi nella nostra carne  come il Dio della vita.

 

La fede cristiana poggia su questa verità e scommette su questa verità.

Una scommessa che oggi, come ai primi tempi della Chiesa, torna fare i conti con un mondo che sembra diventare sempre più estraneo al Vangelo.

Ma la voce dell’angelo del sepolcro continua a dirci: «Non abbiate paura. Gesù che voi cercate non è qui. È risorto.  Vi precede in Galilea».

 

La Galilea è il luogo della vita ordinaria di Gesù, della sua prima predicazione, dei suoi  primi discepoli. È  anche il luogo dove il popolo ebraico si incontrava con altre religioni e culture, dunque il luogo del confronto, dell’annuncio, della missione.

Gesù torna, in qualche modo, in Galilea, e da lì riparte per il mondo.

Risorge per coinvolgerci nell’avventura della sua vita, per darci una vita da risorti.

 

San Paolo – come abbiamo ascoltato – spiega questo mistero partendo dal simbolo dell’acqua battesimale, da cui anche in questa celebrazione tre catecumeni saranno  bagnati.  Bello che siano qui presenti anche dei “neo-catecumeni” che, in un cammino formativo di molti anni, hanno riscoperto questo mistero. Il battesimo è uno scendere nell’acqua santificata dello Spirito di Dio per seppellirvi i tratti dell’uomo vecchio segnato dal peccato e un risalire da quell’acqua come persone nuove che portano i tratti di Cristo.

 

Tutta la liturgia di questa veglia Pasquale dà voce a questo mistero.

Prima di essere liturgia dell’acqua, è liturgia del fuoco e della luce.

Siamo entrati in una chiesa oscura, simbolo dell’oscurità dei nostri cuori, evocazione dell’oscurità in cui versa l’umanità non ancora illuminata dalla luce del Vangelo.

In questa oscurità si sono accese, alla fiamma di Cristo,  le nostre fiammelle.

Siamo entrati nella luce, siamo diventati luce e siamo chiamati a far luce.

Questa liturgia è un momento di trasformazione. Pone nella nostra vita il germe della risurrezione. Ogni domenica, pasqua della settimana, attinge da questa veglia.

 

Proviamo a sentire nell’intimo del cuore la bellezza di questo mistero.

Esso ci fa provare gioia, consolazione, speranza.

E se ci sentiamo in trappola perché la nostra vita è nella morsa della sofferenza, della povertà, della tristezza, questo è il momento di fare spazio a Gesù.  Tempo di ascoltare la sua voce: non abbiate paura!

 

È Pasqua. Pasqua di liberazione, come lo fu l’antica Pasqua dell’esodo che diede terra e libertà ad un popolo oppresso. Quanta tristezza nel costatare che quella terra in cui fu proclamata la pace non riesce ancora a trovare pace, ed anche in questi ultimi giorni ha registrato i colpi mortali dell’incomprensione e dell’ostilità.

 

Pasqua di liberazione che mette radici nel profondo del nostro cuore, perché è vittoria sul nostro peccato, germe della nostra morte.

Pasqua: cioè luce che irradia gli angoli più oscuri del cuore, delle persone, della società.

A Pasqua la morte è sconfitta. È strappata la sua radice. Se la morte fisica ancora ci tiene in scacco, la fede ci infonde la certezza dell’immortalità e della risurrezione finale.

 

Ma – ricordiamolo – c’è ancora troppa morte che non ha alcuna giustificazione.    Ci rattrista  la morte di tanti fratelli e sorelle che sembrano avere l’unica colpa di essere  nati in regioni dove regna cronicamente la guerra, e dove i signori della guerra, ampiamente foraggiati dalle nostre economie malate,  lucrano sulla pelle dei poveri. Ci rattrista  la morte di tanti che risentono più direttamente – ma è un problema che ci investe tutti  ­– di un ambiente devastato dal nostro egoismo e dalla nostra insensibilità. Ci rattrista la morte di bambini soffocati fin nei grembi materni e che forse sarebbero salvati se costruissimo intorno alle mamme e alla famiglia una società più solidale e più aperta alla vita. Ci rattrista la morte di tanti che non hanno trovato un fratello o una sorella che si prendesse cura di loro, o di tanti che,  venendo in mezzo a noi da terre lontane – al di là delle nostre giuste  preoccupazioni di sicurezza e di ordine sociale – soffrono il rifiuto dettato dall’indifferenza, dal pregiudizio e dall’ostilità.

 

La morte fisica verrà debellata da Cristo solo alla fine dei tempi.

Ma dalla morte morale possiamo uscire fin d’ora. Cristo è risorto per questo.

E allora, cari fratelli e sorelle, buona Pasqua!

Sia questa Pasqua un evento di trasformazione, di conversione del cuore, d’impegno ad una vita posta tutta nella logica dell’amore.

Un augurio che vogliamo fare soprattutto a questi tre catecumeni che stanno per ricevere il battesimo. Sia per loro vita nuova, vita gioiosa, vita che ha trovato il suo senso pieno.

E noi li abbracciamo con tutta la fraternità di cui siamo capaci. La loro testimonianza aiuta anche noi a scoprire il tesoro che il battesimo ha posto nella nostra vita.

 

È  risorto. Alleluia! Quello che la liturgia oggi annuncia di Cristo, possa essere detto di ciascuno di noi.

 

Assisi, 31 marzo ’18