Omelia di mons. Sorrentino nella Festa di San Rufino 12 agosto 2019

12-08-2019

OMELIA NELLA FESTA DI SAN RUFINO 12.8.19

Nella festa del Patrono la liturgia della Parola è tutta dominata dall’immagine del pastore.

Il Dio pastore. Cristo pastore. L’apostolo pastore.

Un’immagine che percorre la Scrittura, dall’Antico al Nuovo Testamento.

Ma in qualche modo percorre la storia dell’umanità.

«Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura». Lo abbiamo ascoltato sulla bocca di Dio nel libro del profeta Ezechiele in un contesto di rimprovero ai pastori umani inadempienti. Ma lo possiamo comprendere anche in termini più generali.

È una parola che intercetta una dimensione fondamentale della condizione umana, sempre esposta alla fragilità e all’errore, e sempre bisognosa di un soccorso e di una guida sicura.

Chi non vede che un mondo in cui ciascuno pretende, in nome della sua libertà, di manipolare la natura che ci circonda, sta andando verso una catastrofe ecologica?

C’è bisogno che il Dio – pastore torni con forza a ricordarci che il creato è un dono affidato alla nostra premurosa custodia, e non possiamo farne scempio.

Chi non vede che, se continuiamo a produrre armi, ed armi ad alto potenziale distruttivo, si dà alimento a innumerevoli guerre regionali, producendo disastri ambientali e massacri di vite innocenti, e si mettono i presupposti di una crisi bellica universale? C’è bisogno che il Dio – pastore torni a spiegarci le vie della pace, prima che imbocchiamo una strada che potrebbe essere senza ritorno.

Chi non vede che c’è una legge biologica inscritta nella nostra carne, che ci rende esseri umani con una specifica identità personale e relazionale, con una sessualità improntata alla reciprocità e complementarietà tra uomo e donna, con una propensione – che per i più è anche vocazione – all’incontro coniugale in funzione della stabile comunione di amore e dell’accoglienza generosa della vita, che va sempre e comunque rispettata, dal suo inizio al suo naturale tramonto? Ne va della sopravvivenza del genere umano, della bellezza della famiglia, della serenità dei bambini, dell’armonia sociale. Eppure proprio in questo delicatissimo ambito della moralità imperversa la confusione fino all’orgoglio della trasgressione.

C’è più che mai bisogno che il Dio – pastore torni a indicarci la rotta.

Chi non vede, dall’immane sofferenza di milioni di persone in stato di fame, di malattia e di bisogno, e dalle stesse crisi economiche del nostro mondo sviluppato  che producono incertezza, disoccupazione, perdita dei diritti sociali, distanza sempre più grande tra i pochi detentori di immense ricchezze e la massa di indigenti, che l’economia del nostro mondo è malata, al punto che papa Francesco ha sentito il bisogno di una convocazione il prossimo anno qui ad Assisi per fare il punto su questo complesso e drammatico scenario?  C’è urgenza che il Dio – pastore torni a dettarci le regole più elementari della fraternità, ricordandoci che siamo amministratori dei suoi beni, e non possiamo esserne predatori.

Il tema del Dio – pastore, nella Scrittura, scende dall’altezza di Dio al livello della nostra responsabilità.

Non è un caso che esso ci venga offerto nella solennità di San Rufino, evangelizzatore della nostra terra.  Egli fu vescovo, ossia pastore.

Nella logica biblica dell’alleanza tra Dio e l’uomo, Dio si fa normalmente presente attraverso pastori umani.

È quanto ha fatto soprattutto prendendo egli stesso, nel suo Verbo eterno fatto carne, il volto umano di Gesù. A Cristo dobbiamo guardare come al vero buon pastore, modello di tutti i pastori. Egli è l’unico e universale Salvatore.

Ma Cristo sceglie tra di noi dei fratelli da quali vuole essere rappresentato, dando loro il compito non di dominare sugli altri, ma di servirli con amore, fino al dono di sé.

Le parole che abbiamo ascoltato nella prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi tratteggiano l’identikit dell’apostolo-pastore, che annuncia il vangelo con il coraggio del lottatore, mosso solo dalla verità e dall’amore, privo di ogni interesse personale, capace di paternità e persino di maternità. Toccante questa sua confessione: «Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature». E finisce con il desiderio di donare non soltanto il vangelo, ma la sua stessa vita.

È ciò che fece san Rufino.

Ma è anche ciò a cui siamo chiamati tutti noi, ai nostri rispettivi livelli di responsabilità, ecclesiali e civili.

Se infatti qui si parla del pastore nell’ambito della Chiesa e del cammino di fede, è possibile farne un’applicazione a tutti gli ambiti della vita, in cui la logica del buon pastore è ugualmente necessaria.

Come non vederla necessaria nella vita di famiglia? Genitori che abdichino alla loro responsabilità educativa, fatta di esempio e di parola, tradiscono la loro missione. Insegnanti, educatori, operatori sociali, ricercatori, imprenditori, sindacalisti, medici, giudici, che non si mettano in questa logica di servizio, diventano ugualmente responsabili di una società inquieta e malata.

L’occasione di far da “pastore”, prima o poi, può arrivare per ciascuno di noi, nella semplicità della nostra vita quotidiana. Certo, ci sono alcuni che, per le loro condizioni fisiche o psichiche, hanno bisogno di tutto, e devono ricevere il massimo delle nostre premure. Ma alla maggior parte di noi, in un contesto o l’altro, è dato di poterci rendere utili, almeno condividendo quello che abbiamo, fosse anche soltanto il nostro tempo, per vivere con quell’attenzione vicendevole, che ci rende gli uni “custodi” degli altri. E ciò verso tutti, al di là dei nostri confini e delle nostre culture. Il Dio buon pastore è padre di tutti, e noi siamo tutti fratelli. Una cultura dell’esclusione è contraria al disegno di Dio, anche se l’accoglienza va ben organizzata per il buon ordine sociale e il rispetto della dignità di tutti. C’è per tutti dunque un tempo in cui si è chiamati ad essere imitatori di Cristo buon pastore.

E come non applicare tutto questo, in modo speciale, alla politica, che ha per sua natura il compito di provvedere al bene comune, con leggi improntate a saggezza e incardinate sull’etica, con un servizio imparziale e disinteressato, con una dialettica mai inacerbita e sprezzante, capace di mettere insieme le diversità in una composizione il più possibile armonica e pacifica, dentro il rispetto di una legalità formale e sostanziale?  La nostra Italia si ritrova ancora una volta in questi giorni a un passaggio decisivo, in cui la fatica di comporre persino un governo chiama tutti a un ritrovato senso di responsabilità partecipativa. Anche in questo il tema del buon pastore ha qualcosa da dire.

Non mi nascondo infine – e certo non è l’ultimo problema – che stiamo vivendo anche all’interno della Chiesa una congiuntura difficile.  A tanti livelli si respira aria di crisi. Per la nostra Chiesa particolare, la seconda visita pastorale – della quale ho dato già i primi riscontri­ ­– sta facendo emergere problemi che, già avvistati da anni, ora ci portano il conto. Grazie a Dio, il nostro Sinodo ha dato indicazioni che possono aiutarci a riprendere con lena il nostro impegno di rinnovamento e di evangelizzazione, come faremo nel prossimo anno pastorale anche in comunione con le Chiese dell’Umbria. Ma venti di disunione, di confusione, spirano anche a livello della Chiesa universale, fino ad investire, ingenerosamente e ingiustamente, il vicario di Cristo. Faccio mio quanto ieri ci veniva detto dal cardinale Becciu a Santa Chiara: all’offensiva del male e della confusione, bisogna rispondere con una controffensiva del bene, della comunione, della santità. Vada a papa Francesco, qui ad Assisi doppiamente caro, il nostro abbraccio filiale. E il nostro patrono san Rufino ottenga ancora una volta alla nostra comunità ecclesiale e civile quella benedizione originaria che, segnata dal suo sangue, ha prodotto nei secoli una fioritura di santità e ha fatto di Assisi una “città sul monte” a cui guarda il mondo.