Omelia anniversario inaugurazione Santuario della Spogliazione 2021

16-05-2021

OMELIA

La terra ha bisogno di cielo! Come noi la sperimentiamo, essa è immersa nell’immenso cielo, che invano cerchiamo di misurare anche con le nostre spedizioni sulla luna e sui pianeti vicini. Siamo tuffati nell’immensità. Per questo il  “cielo” fisico è divenuto nella Scrittura   metafora del cielo divino, di Dio stesso: “Padre nostro che sei nei cieli”.

L’odierna festa dell’Ascensione ci addita il cielo.

È  innanzitutto il cielo di Gesù. Da sempre, nel cuore del Padre, egli ne condivide il suo essere “cielo”. Da sempre ci avvolge come creatore. Da sempre, con lo Spirito Santo, ci avvolge d’amore.

Ma non gli è piaciuto guardarci solo dal cielo. Ed ecco l’ annuncio  che sta alla base della nostra fede: il Verbo si è fatto carne, il cielo ha sposato la terra. L’Altissimo – come lo chiama Francesco –  che noi potevamo solo da lontano adorare, con occhi pieni di nostalgia, è diventato il volto tenero del figlio di Maria. Lo abbiamo sentito parlare, calcare le nostre zolle, sbucciarsi le nostre dita nel duro mestiere di falegname, annunciare con la nostra lingua la misericordia del Padre,  finire la sua vita terrena sulla nostra croce, con la più dolorosa delle nostre morti.

Ma la terra è esplosa nel suo mistero, ed è diventata cielo. Ecco l’ascensione! Quel corpo che portava tutto il peso della nostra fragilità, tranne il peccato, non è rimasto imprigionato nel sepolcro.

Si è rivestito di gloria nella risurrezione, rimanendo ancora per poco tra di noi a darci i segni della sua nuova vita e ad allenarci alla contemplazione della sua presenza discreta e silenziosa. Si è rivestito di cielo il giorno dell’ascensione quando si è sottratto   definitivamente ai nostri occhi, lasciandoci in  pegno il dono dello Spirito.

Da quel momento in poi egli vive totalmente in noi. Lo incontriamo sui nostri altari nel mistero eucaristico. Lo vediamo negli occhi dei poveri con cui egli si immedesima per darci un appuntamento di amore sulle strade del mondo. Lo sappiamo presente  in tutti gli eventi del mondo, anche quelli più tragici, dove egli si nasconde per fare spazio alla nostra libertà ma insieme per orientarla al bene.  Gesù asceso al cielo non è un Gesù che ha lasciato la terra, ma un Gesù che si è nascosto in essa, per lasciare a noi il compito di rappresentarlo, assumendo nella santità i suoi lineamenti.

«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo con cui l’avete visto andare in cielo»

   Sono le parole che abbiamo ascoltato dall’angelo che risveglia  i discepoli   perduti con lo sguardo nel cielo, per aprire i loro occhi agli spazi della missione. Tocca ormai a loro. Sono stati tre anni col Maestro. Ora, nella forza dello Spirito Santo, quanto hanno ricevuto dev’essere donato. Il mondo dev’essere tutto raggiunto, in ogni angolo, da quella grande notizia. Dev’essere anzi trasformato: deve diventare il mondo  della fraternità e della pace, deve tornare alla bellezza dell’Eden, riaprendosi agli orizzonti sconfinati del cielo.

Tutto questo è  il compito della Chiesa, corpo di Cristo.

È  triste forse  constatare che, dopo due mila anni, questo nostro compito è ancora ai primi passi. Quando ci fermiamo sulle notizie di conflitti in tante regioni del mondo e sulle immagini di sangue che in questi giorni stanno deturpando ancora una volta la terra di Gesù, tra razzi e bombe che seminano terrore, distruzione e morte, abbiamo la misura del lavoro che ci attende. Dopo due mila anni l’angelo dell’ascensione ci esorta a rimboccarci le maniche.

Sogno? Miraggio? Utopia?

La parola di Gesù dà ancora una volta, come ai primordi,  concretezza a questo progetto, dandoci una certezza che ci deve mettere le ali: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

Non siamo soli. Il compito è immane. Comincia dalle macerie del nostro stesso cuore, che vanno rimosse, per costruire una vita bella nella santità. E continua poi nell’annuncio fatto non solo con parole ma con l’attrazione di una vita santa. E si inoltra poi in tutti i meandri della nostra esistenza  quotidiana, dalla famiglia, alla città, alla scuola, all’arte, alla cultura, all’economia, alla politica.

La terra ha bisogno di cielo. Tutto può essere ricostruito, niente è perduto, se ci lasciamo invadere dalla luce discreta e interiore di Cristo asceso al cielo e vivente in noi.

I Santi ci dicono che questo è possibile. In questo Santuario della Spogliazione,  in festa nella memoria della sua erezione datata solo alcuni anni fa, ma che affonda le radici nel gesto profetico della spogliazione compiuto da Francesco ottocento anni fa, oggi l’Ascensione si fa sguardo e progetto, orizzonte da contemplare e ideale da perseguire.

Quando, davanti al vescovo e al padre Bernardone, Francesco si spogliava e levava le braccia al cielo, facendo risuonare con tono ormai divino le parole della comune preghiera, “Padre nostro che sei nei cieli”, che cosa faceva, se non abbandonarsi al mistero dell’Ascensione? Il suo corpo nudo tornava allo splendore dell’Eden e il suo cuore si levava all’altezza del cielo.

Ma qui anche la giovane presenza di Carlo ci spinge verso l’alto. Il suo sguardo di adolescente innamorato del mistero eucaristico, immerso negli interessi più vivi di questa terra  ma con un cuore puro e uno slancio apostolico, era uno sguardo di ascensione, uno sguardo rivolto al cielo. Non a caso sentiva   l’eucaristia come l’ autostrada verso il cielo.

Entrambi, Francesco e Carlo, ci invitano a nutrirci di questo mistero e a inebriarci di questa presenza di cielo, senza di cui la nostra terra finisce per portarci solo il conto delle sue macerie.

Proprio ieri, in occasione di questa festa, abbiamo voluto mostrare come il cielo dell’ascensione riesce ancora a farci sognare. Abbiamo infatti inaugurato il   “Premio internazionale Francesco d’Assisi e Carlo Acutis per un’economia della fraternità”. Lo abbiamo attribuito al nostro Istituto Serafico, che da 150 anni offre una testimonianza di accoglienza e di cura dei ragazzi più svantaggiati per le loro gravi disabilità, cogliendo in loro il sorriso del cielo. E dal Serafico abbiamo guardato più lontano, ai paesi più poveri del mondo, dove si ha bisogno di tutto, dove i poveri  continuano a morire vittime di un’economia egoista e indifferente. Abbiamo guardato a loro per  sottrarli all’oblio, intercettando per quanto possibile la loro voglia di riscatto e le loro iniziative  di progettualità generativa, che noi vogliamo, con l’aiuto della Provvidenza, accompagnare con cuore di fratelli.

L’Ascensione di Gesù diventa così per tutti un colpo d’ala. Il mondo ne ha estremo bisogno in questo momento difficile. Ci incalza un bisogno stringente di “ripartire”. Ma ripartire come? Ripartire verso dove? Degli apostoli ci viene detto che «partirono e predicarono dappertutto mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano». È qui  la ripartenza della Chiesa nella sua specifica missione evangelizzatrice. Ma anche il mondo dovrà ripartire: e ripartirà, lo speriamo e invochiamo, sconfiggendo la pandemia e riprendendo  le forme ordinarie di vita economica e sociale.  Ma non potrà andare molto lontano, se non si dà degli obiettivi che siano conformi al disegno di Dio, obiettivi di verità e di amore, che diano alla nostra terra il sapore del cielo. È la supplica che, con l’intercessione di san Francesco e del beato Carlo, sale oggi da questo Santuario. Il Signore asceso al cielo la voglia esaudire.