Omelia del Vescovo Apertura Anno Santo Giubilare 29 dicembre 2024 Basilica di Santa Maria degli Angeli

29-12-2024

Omelia Apertura Anno Santo Giubilare

La Porta Santa si è aperta. Lo yobel ha suonato. Era questo lo strumento che annunciava in Israele il giubileo, anno di riposo della terra, di liberazione dalla schiavitù e di riconciliazione tra gli uomini. Anno in cui il debito si estingueva e i poveri tornavano in possesso dei loro beni, ricordando così ai ricchi che tutto è di Dio e i beni della terra sono affidati alla custodia e all’amministrazione, non all’orgoglio del possesso. Suonava lo yobel, e il giubilo riempiva il cuore degli umili. Su quell’anno speciale si concentrava la speranza degli ultimi, dei deboli, degli emarginati. Nella sinagoga di Nazaret, Gesù si richiamò proprio a questo anno giubilare, inaugurandolo come ‘anno di grazia’. La grazia in realtà era lui. La porta è lui. È lui lo yobel definitivo, la parola eterna fatta carne e fatta canto, che riecheggia la voce misericordiosa del Padre sulla nostra umanità ferita, per infondere a tutti la speranza di un mondo nuovo. Il Giubileo di questo anno è intonato appunto al tema della speranza.

Con l’apertura della porta santa a Roma comincia l’anno giubilare anche delle nostre Chiese sorelle di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, come avviene in tutte le Chiese sparse nel mondo. Ci viene offerta l’indulgenza, e cioè la certezza che Dio non solo ci abbraccia come un padre, come nella parabola del figliuol prodigo, quando ritorniamo a lui dopo il nostro peccato, ma si fa anche medico delle conseguenze che il peccato ha prodotto in noi. Come la malattia, il peccato, ci lascia indeboliti e inclini a peccare nuovamente. L’indulgenza è un aiuto supplementare a quello del sacramento della riconciliazione. Rimette le cosiddette “pene temporali” a cui col peccato andiamo soggetti, e che sono appunto gli strascichi del peccato da sanare nell’aldilà con il purgatorio o già sulla terra con un cammino serio di conversione. Ne era cosciente il giovane Carlo Acutis quando, sotto gli artigli della malattia, offrì la sua vita per la Chiesa, ma aggiunse anche il desiderio di andare subito in paradiso evitando il purgatorio. Era il desiderio di incontrare Gesù così rapidamente da non sopportare alcun ritardo. A questa santità tutti siamo chiamati. La Chiesa ci offre con il Giubileo una medicina che, se assunta davvero – cosa non scontata – guarisce le ferite dell’anima anticipando per noi su questa terra la gioia del paradiso. Quando Francesco la ottenne per i pellegrini di questa Porziuncola, la annunciò così: Voglio mandarvi tutti in paradiso.

Tutto è grazia. Ma nel suo gioco paterno di alleanza con i suoi figli, Iddio ci chiede sempre di fare la nostra parte. Con l’indulgenza giubilare, questa parte è compiuta anche grazie alla comunione che ci lega a tutta la Chiesa, corpo di Cristo. Tocca però a ciascuno aprire il cuore. Non c’è nulla di magico e di automatico. Puoi fare tutti i pellegrinaggi che vuoi, ma se non scatta il pellegrinaggio dell’anima, l’indulgenza non ti può raggiungere. Per accoglierla davvero è richiesta non soltanto qualche pratica esteriore, ma soprattutto il fermo proposito di allontanarci da ogni peccato. In sostanza, la decisione di vivere santamente. Quest’anno ci chiede più santità, più comunione, più impegno.

Ci illumina, per questo, la festa odierna, che ci invita a fissare lo sguardo sulla santità della famiglia di Nazaret. Una proposta quasi provocatoria, nel tempo in cui la famiglia è così provata e il matrimonio perde sempre più terreno nella nostra coscienza, nella cultura, nella legislazione, gettando i semi di un futuro da incubo. Il giubileo   è stato incardinato sulla speranza, ma questa   è efficace e non illusoria solo se torniamo ad essere famiglia, dalla famiglia fondata sul matrimonio, alle famiglie spirituali che si ritrovano intorno al vangelo come avvenne per Francesco e i suoi frati formati all’ombra di questa Porziuncola, e come è oggi assunto come programma pastorale delle nostre due Chiese sorelle, fino allo sguardo che – sull’onda dell’enciclica “fratelli tutti” firmata sulla tomba di Francesco, e del patto per una nuova economia siglato dal Papa e  da migliaia di giovani, deposto qui come un seme nel giardino della Porziuncola–, si porta sulla  famiglia dei popoli, alla quale noi cristiani vogliamo dare il nostro contributo perché la pace trionfi sulle tante macerie e rivoli di sangue innocente. Lo vogliamo dare avvertendo la responsabilità che grava su questa comunità ecclesiale che ha il privilegio di essere la madre di Francesco, che fece della pace il suo saluto e il suo modo di essere. Sia, questo anno, un anno di gioia. Una gioia che diventa canto, come sulle orme del Serafico Padre cercheremo di fare approfittando anche dell’ottavo centenario del Cantico di Frate sole. Una gioia che vogliamo coltivare meditando la massima del beato Carlo e quasi preparandoci con essa alla sua canonizzazione: “la gioia è lo sguardo rivolto verso Dio, la tristezza lo sguardo rivolto a noi stessi”. Apriamo il cuore e lo sguardo verso Dio, cari fratelli e sorelle, e quest’anno sarà davvero un anno di gioia, di speranza e di grazia.