OMELIA FUNERALE MONSIGNOR OSCAR BATTAGLIA
San Rufino, martedì 23 luglio 2024
Tra Giobbe e le beatitudini. La vita di don Oscar mi pare si delinei bene tra questi due scenari. Un cammino segnato da problemi fisici che lo hanno a lungo provato, ma sempre illuminato dalla luce delle beatitudini.
Egli avrebbe potuto commentare da maestro i due brani appena proclamati. Sulle beatitudini ha addirittura scritto un libro. Io cerco di farlo quasi ascoltandolo, come se ancora ci parlasse a viva voce.
Giobbe: come dire, la condizione umana vista con il realismo di uno sguardo disincantato, adulto, che conosce della vita tutte le possibilità. Sa che essa si può configurare come un’esistenza fortunata anche per l’abbondanza di beni materiali, ma sa anche che essa è sempre a rischio, posta sul ciglio di un precipizio, nel quale si può cadere da un momento all’altro. Un tonfo nel buio che il libro di Giobbe attribuisce non a Dio, ma a Satana, il suo nemico che è anche nemico dell’uomo. Se Dio permette questo tonfo, assicura tuttavia a quanti gli sono fedeli una ripresa che è tanto più gioiosa quanto più provata. La fede getta sprazzi di luce anche nel buio pesto: “Io so che il mio Redentore è vivo”.
Ho più volte ascoltato don Oscar ricordare le prove della sua vita, quelle degli anni più giovani, legati alla famiglia, al lavoro, alla terra spoletina in cui affondano le sue radici, altre che erano venute successivamente specie con la serie di interventi chirurgici che hanno scandito il suo diario di bordo. Lo sguardo rivolto al Crocifisso lo ha sempre tenuto in piedi. La fede di Giobbe non è venuta meno. Non gli è mancata tuttavia la vicinanza di tanti amici, a lui grati e devoti. Si è distinta in questo la premura delle Suore del Giglio di cui è stato per molto tempo, più che ospite, un familiare. Alla fine gli è stato di consolazione il calore della comunità e la competente assistenza ricevuta nella infermeria dei frati minori che lo hanno fraternamente accolto sotto lo sguardo della Madonna degli Angeli.
Don Oscar non nascondeva la fatica del vivere. Dalla sua conoscenza biblica attingeva anche quella piena umanità che si esprime senza veli anche quando, come avviene nei salmi, la vita emerge in tutta la sua asprezza. A don Oscar non piaceva edulcorare o spiritualizzare. Il dolore è dolore. Quello che Gesù ha sperimentato nel Getsemani e sulla croce, fino all’abisso del grido: “Padre, perché mi hai abbandonato?”. Una umanità, quella di don Oscar, vera, adulta, senza finzioni. Le sue riflessioni sulla vita e le sue valutazioni delle persone, quando gli era richiesto, erano improntate a una sincerità che non faceva sconti. Questo non lo faceva sentire distante, al contrario, attraeva, e lo rendeva, con naturalezza, compagno di viaggio di quanti lo frequentavano, per i quali, oltre che da amico, fungeva da modello e formatore. In quest’ultima veste lo ricordano soprattutto coloro che lo hanno avuto docente all’Istituto Teologico e ne hanno beneficiato nei ruoli da lui svolti in Seminario. Tanti seminaristi, diaconi, sacerdoti, e non pochi laici, hanno trovato in lui l’ideale accompagnatore spirituale.
Le beatitudini. Sono il volto di un cristianesimo improntato alla gioia. Una dimensione che piaceva molto a don Oscar. Il suo modo di vedere Dio come capace di riso e di sorriso – su questo scrisse anche un saggio – , si irradiava dal suo volto prima che dai suoi scritti. Questa visione del cristianesimo in realtà ne esprime il senso profondo: gioia è l’altro nome della salvezza. Una gioia tuttavia tutt’altro che banale. Le beatitudini ne declinano le condizioni, nella serie di valori radicalmente alternativi a quelli del mondo. Se dovessi scegliere una beatitudine che maggiormente si attaglia alla personalità di don Oscar, mi viene spontaneo pensare a “beati i miti”. Don Oscar era l’immagine della mitezza. Stare con lui non ti metteva mai a disagio. Il volto era tutto accoglienza. Mitezza tuttavia ben lontana dalla debolezza. Le sue valutazioni su persone e cose sapevano sempre
di verità, anche quando occorreva fare i conti con il negativo. Nessuna piaggeria e nessuna ipocrisia, pur sempre senz’ombra di cattiveria e tutto condito di misericordia. Se ai miti, stando al Vangelo, è accordato il possesso della terra, quanto più è assicurato il regno dei cieli, e se i misericordiosi hanno la misericordia garantita, possiamo proprio sperare che don Oscar l’abbia ottenuta nel suo incontro con Dio.
Lo scenario che tutto riassume, tra Antico e Nuovo Testamento, tra Giobbe e le beatitudini, è quello della Parola di Dio. Per quanti lo abbiamo conosciuto, don Oscar si è come identificato con la Parola, meditata, insegnata, testimoniata. È forse il tratto della sua personalità che ci rimarrà più scolpito nella memoria.
Della Parola egli viveva. Ne era innamorato. La accostava con la sapienza di esegeta colto, attento alle tendenze della cultura biblica più aggiornata, ma sempre con equilibrio, senso critico e discernimento ecclesiale. Soprattutto si era dato come programma di vita quello di renderla accessibile a tutti, riflettendone la luce sul versante del mistero divino, sempre più grande dei nostri pensieri, e sul versante del mistero dell’uomo, nella concretezza delle sue espressioni, delle sue traversie, delle sue sfide. Una Parola, insomma, che illumina tutto e a tutto dà senso, ma in modo non magico, dando risposte che suscitano domande ulteriori e chiedendo una ricerca inesausta, mai conclusa finché siamo su questa terra. Si è dedicato a questa missione con incredibile generosità. Non si negava ai mille inviti, dovunque scorgeva il bisogno sincero che la Parola venisse spezzata come pane nutriente. In diocesi lo abbiamo visto attivo nel preparare ogni anno i preziosi quaderni della Scuola di Bibbia e vita cristiana, e lo ha fatto fino a che le dita non sono diventate così tremule da non governare più la tastiera di un computer. Quando gliene feci l’ultima richiesta, non mi disse no, ma mi mostrò le dita. Lo sguardo diceva un infinito rammarico. Ha continuato a fare esegesi con la sua sofferenza accolta con fede. Tanti lo ricorderanno non solo come interprete del Libro santo, ma anche come guida alla Terra Santa, della quale conosceva tutti gli angoli, sapendo dire parole che si inchiodavano nell’animo per sempre.
Ora, caro don Oscar, il tuo pellegrinaggio tra i testi biblici e le pietre bibliche è finito. Sei arrivato alla meta. Quello che la Bibbia annuncia dietro il velo della parola umana sempre inadeguata alla grandezza del mistero, ora per te è luce piena. Forse, giunto al traguardo, vorresti ancora, e più che mai, indirizzarci un pensiero, anche solo per spiegarci che di fronte alla bellezza di Dio, non c’è che il silenzio estatico. Hai voluto essere sepolto nella cappella del Seminario, quasi a continuare ancora il principale dei tuoi servizi alla Chiesa, la formazione del clero. Continua la tua missione dal cielo. Noi che restiamo ancora pellegrini, non abbiamo ormai per te che una sola parola: grazie! Grazie per tutto quello che sei stato e che ci hai dato. Per tutto quello che hai profuso a piene mani non solo per la nostra comunità assisana, ma per tutte le Chiese della nostra regione. Il Signore, nell’abbondanza della sua misericordia, ti riempia della letizia promessa a quanti lo cercano e lo amano con cuore sincero.