“ECCO LA MIA CATTEDRALE”

ASSISI – “Parlare con la vita e se necessario con le parole”, uno dei tanti insegnamenti di monsignor Sergio Goretti vescovo di Assisi dal 1981 al 2006 che ha ispirato al famoso artista umbro Fiorenzo Bacci la realizzazione di una stele in onore e a ricordo perenne del suo percorso esistenziale, posta sul loculo che racchiude la salma del pastore emerito nella cappella della Madonna del Pianto in cattedrale. La stele è stata benedetta dal vescovo di Assisi monsignor Domenico Sorrentino a conclusione della solenne celebrazione eucaristica della solennità di San Rufino mercoledì 12 agosto alle ore 11 e aperta alla vista dei pellegrini. L’iniziativa curata dal parroco della cattedrale don Cesare Provenzi, per diversi anni segretario del vescovo emerito, è davvero il compendio dello stile e della spiritualità di Sergio Goretti. Nella parte superiore la sua sensibilità per i poveri e i più fragili e in particolare quelli del Serafico, con esso, “la sua cattedrale”, tra le mani, va incontro a Gesù nell’eternità dove gode la pace, rappresentata dal ramoscello di ulivo e dalla scritta Pax et Bonum che si stagliano fra le due figure, quella pace per la quale fu grande collaboratore della storica giornata di preghiera per la pace del 27 ottobre del 1986, voluta da Giovanni Paolo II. Nella parte inferiore le sue premure ed emergenze pastorali: la basilica di San Francesco squarciata sì dal sisma, ma non crollata secondo le parole profetiche del Santo: “Ascesi sarà sempre salva” perché lo Spirito Santo che dall’apertura a forma di colomba irradia luce di grazia e protezione sulla Diocesi la sostiene; il gregge di pecore in rilievo in basso a gruppi diversi tra loro, ancora in cammino verso quella comunione che il vescovo auspicava nella sua lettera pastorale del 1992 attraverso la strutturazione della diocesi in unità pastorali. Poi a sinistra la curia e il vescovado con i segni devastanti del terremoto e lo stemma vescovile ammaccato ma ancora ritto, simbolo dello zelo e della fede che sostenne il suo ministero durante il sisma e scolpiti nelle sue parole proferite con la vita: “Non si può mai venir meno alla speranza”. A destra, a tutto tondo, una bimba non vedente, piccola ospite del Serafico, “la sua cattedrale”, come indicato dal logos inciso sulla sua borsetta, suona il flauto e l’armonia risuona nelle sfere celesti. Sono infatti i fragili, i più piccoli e deboli che insieme a tanti altri, che ora riposano in Cristo, come sulla Terra, ancora adesso sono la compagnia e la gloria di monsignor Sergio Goretti. Sarebbe bello fare i nomi di quanti tra questi lo ricordano ancora oggi, ne sono testimone e con me tanti altri. Qualcuno forse noioso, fastidioso come capita che spesso siano quelli che vivono disagi e precarietà non solo materiali ma anche affettivi, ai quali manca quell’essenza della relazione, della considerazione della propria dignità dovuta a tutti. Nei giorni in cui è stata esposta la sua salma, ne ho visto alcuni accostarvisi desolati, smarriti e più soli, a chiedere perdono per la propria insistenza esclamando: “Però nonostante tutto non mi ha mai risposto male, non mi ha mai cacciato via, né si è mai arrabbiato, mi ha sempre sorriso”. La messa è l’Incarnazione di Cristo in noi che chi più chi meno davanti a Dio siamo tutti poveri e mancanti di qualcosa, monsignor Sergio l’aveva compreso e vissuto e con le mani piene di fragilità dei fratelli non poteva non trovare quelle aperte di Cristo che l’accoglie, Lui che ogni cosa fatta ai piccoli la sente fatta a sé stesso. Grazie per questa stele che, come Goretti desiderava, parla con immagini di vita così eloquenti che non servono le parole e inviteranno quanti l’osservano a sperare, unire e amare e soprattutto ad evitare “ogni protagonismo che spesso allontana la gente” e smarrisce i poveri.
 
Suor Maria Rosaria Sorce