MOSTRA DEI MIRACOLI EUCARISTICI DI CARLO ACUTIS, LA RIFLESIONE DEL VESCOVO SORRENTINO

ASSISI – Pubblichiamo di seguito la riflessione del vescovo monsignor Domenico Sorrentino sulla mostra dei miracoli eucaristici di Carlo Acutis, che sarà canonizzato il 7 settembre.

 

SU RECENTI PERPLESSITÀ TEOLOGICHE CIRCA LA MOSTRA DEI  MIRACOLI EUCARISTCI DI CARLO ACUTIS

 di mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi

«Se ne parlerà il 5 maggio 2005, a Roma, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, nel convegno “I miracoli eucaristici”, organizzato nell’ambito del Master in Scienza e Fede dello stesso Ateneo, con il contributo dell’Istituto San Clemente I Papa e Martire. Dal 5 al 19 maggio, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, si terrà anche una mostra sui miracoli eucaristici». (Agenzia fides)

Quel 5 maggio di venticinque anni fa, a quel Convegno, c’ero anch’io, invitato come segretario della Congregazione (ora Dicastero) del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Era l’Anno dell’Eucaristia, indetto da Giovanni Paolo II. Negli Atti del Convegno è pubblicato (col nome sbagliato di “Angelo”) la mia meditazione (qui di seguito offerta ai lettori, davanti a Gesù eucaristico solennemente esposto).

Per quel Convegno fu allestita anche una mostra dei miracoli eucaristici. Di parte di chi? Manco a dirlo, dall’allora ragazzo quattordicenne Carlo Acutis, che il prossimo 7 settembre sarà canonizzato. Santo dei giovani (è ormai un fenomeno mondiale) e apostolo dell’eucaristia.

Qualche settimana fa un teologo dell’Istituto Sant’Anselmo, Andrea Grillo, ha fatto delle riflessioni critiche sulla tendenza, che egli attribuisce anche al prossimo Santo, a dare importanza eccessiva ai “miracoli” eucaristici. L’intervento ha letteralmente “scatenato” tante reazioni, in gran parte sdegnate. Qualcuna anche a favore (forse anche di più di quelle che si possono leggere). L’Istituto Sant’Anselmo ha preso le distanze dal suo docente.

Ho preso un po’ di tempo per intervenire. Non mi sembrano degne del Vangelo né della teologia, né della liturgia e specialmente dell’Eucaristia, le parole “grosse”, tanto più se “grossolane”, tra fratelli che si nutrono dello stesso Corpo del Signore.

Mi sembra tuttavia doveroso dire una parola, come vescovo che ha la grazia singolare di osservare giorno per giorno l’immenso dono di questa santità giovanile ed eucaristica, che sta coinvolgendo milioni di persone in tutto il mondo. Cosa che interpella anche la teologia, oggi sempre più provata dal contrasto tra la “finezza” dei suoi ragionamenti   e la grande crisi di fede che serpeggia, anzi, segna sempre più fortemente la società, specie nei paesi di antica tradizione cristiana.

Ad Assisi, dove è oggi la tomba di questo prossimo santo, all’interno del Santuario della Spogliazione, quando sono arrivato ad Assisi nel 2006, esattamente l’anno dopo quel Convegno romano, avrei contato in un anno, qualche migliaio di persone. Lo scorso anno vi sono passate quasi un milione (!) di persone. Mi auguro che molte di queste abbiano avuto anche la possibilità di approfondimenti teologici. In genere vengono a ascoltare qui il linguaggio non verbale di un corpo di santo esposto alla venerazione, un messaggio che non dice Carlo, ma Cristo. All’ingresso del Santuario i visitatori si imbattono in un dipinto in cui Francesco e Carlo, raffigurati ai lati, come facendosi da parte, entrambi con le mani puntate nella stessa direzione additano Gesù crocifisso, e l’altare, l’Eucaristia. Il messaggio è inequivocabile: entra in Santuario puntando a Gesù, adora la Sua presenza nel tabernacolo e preparati alla celebrazione eucaristica, e poi vai a glorificare Dio alla tomba di Carlo. Tutto nella più rigorosa gerarchia dei valori teologici.

Il messaggio si rimodula, ma in direzione analoga, per chi si ferma in una vicina sala, a visitare anche la mostra dei miracoli eucaristici, quella allestita da Carlo. Noi pastori sappiamo bene quanto sia facile, nella pietà popolare, la tentazione di fermarsi ai “segni”, senza giungere fino in fondo a Colui che li dà. Si può constatare anche nel Vangelo. Proprio nel grande discorso eucaristico di Gv 6, tutto comincia dal grande segno della moltiplicazione dei pani. L’indomani, la gente rincorre Gesù, e si sente dire dire, in tono di rimprovero: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni (e dunque qualcosa che vi indirizzava a me), ma perché avete mangiato e vi siete saziati”. Quante volte, insegnando teologia, dando le mie lezioni, ho sentito il bisogno di interrogarmi su questa grande tentazione che non è soltanto popolare, ma, più sottilmente, anche di noi teologi e pastori: sto parlando di Gesù, o sto parlando di me? Servo a lui, o mi servo di lui? E mi inventai per questo, nella facoltà teologica di Capodimonte a Napoli, un seminario permanente sulla “teologia del vissuto”, basata su un importante passaggio del Vaticano II, quello di Dei Verbum 8, ancora troppo inascoltato dalla teologia accademica, sull’esperienza spirituale come luogo della teologia, applicandolo soprattutto ai Santi. Ne continuammo a discorrere nella Pontificia Accademia Teologica al tempo in cui ne fu presidente il p. François-Marie Léthel, di cui ricordo la provocatoria affermazione: “Tutti i santi sono teologi, solo i santi sono teologi”. Oggi, passando da teologo ormai vecchio davanti al corpo di questo ragazzo che solo quattordicenne mi incontrò (io non mi accorsi di lui!) nel 2005, sento ancora tanta vergogna per una teologia che sa così poco di santità, e converte così poco i cuori, perché solo Dio, e quelli che sperimentano Dio, sanno parlare al cuore.

Leggendo le riflessioni del prof. Grillo, che mi sarei aspettato francamente più delicate nel tono, ho cercato di prendere il lato buono della sua provocazione, e mi sono detto: va bene, stiamo pure attenti e vigili, come teologi e come pastori, perché Cristo sia davvero il cuore della nostra fede, di ogni nostro pensiero, di tutta la nostra vita. Perché la nostra fede non si fermi ai miracoli, ma arrivi a Lui. Ma proprio a questo porta la vita di Carlo! Oltre tutto, in quel convegno romano di venticinque anni fa, in cui era presente la sua mostra dei miracoli eucaristici, non mancava, tra varie relazioni di carattere più storico, anche quella di un teologo “accademico” come   mons. Giuseppe Lorizio, docente alla Lateranense, e pubblicata negli Atti del Convegno. Quel ragazzo era lì con la sua mostra, ma suppongo anche attento al convegno. A quattordici anni non si interessava solo di sport e di internet, ma di teologia! Soprattutto ogni giorno non dimenticava mai di partecipare alla celebrazione eucaristica, camminando speditamente su quella che amava chiamare, com’è noto, la sua “autostrada per il cielo”. Ci arrivassimo noi al cielo, teologi e pastori, così speditamente come lui!

I miracoli eucaristici, nell’ordine della Provvidenza, alla quale non possiamo essere noi teologi ad insegnare il “mestiere”, hanno il compito di essere “segni” del “SEGNO” per eccellenza, Gesù eucaristia. Presenza davvero straordinaria, che la teologia si affatica a mettere nelle sue categorie, sottraendola alle opposte tentazioni di un simbolismo “vanificante” o di un fisicismo “grossolano”, facendoci adorare Gesù vivo e vero nel mistero di quelle “specie” del pane e del vino consacrati. La teologia tradizionale, non smentita, con tutti i limiti di ogni parola umana sul mistero, chiama questo mistero “transustanziazione”. Le varie altre parole tentate dal rinnovamento teologico post-conciliare non sono bastate a scardinare la forza di questa terminologia, che ci fa passare dal vedere, prima della consacrazione, soltanto del pane e del vino che noi portiamo all’altare, e ci fa prostrare appena dopo nell’adorazione, con tanto di acclamazione “mistero della fede”. Quel pezzo di pane e quelle gocce di vino non sono più delle semplice “cose” terrene – in quanto tali già di per sé piene della presenza di Dio, che avrebbe estese ad esse il suo Cantico:  Laudato si’ per “frate” pane e “frate vino” – ma un “Tu”, il Cristo risorto che di quelle realtà terrene si è appropriato nella logica dell’incarnazione, perché noi potessimo fare “memoriale” della Pasqua non con un ricordo lontano, ma incontrandolo come presenza vivente, “pane vivo disceso dal cielo”, che ci fa dire, con Tommaso d’Aquino: “Adoro Te, devote”. Quegli alimenti eucaristici non sono certo il sangue fisico di Cristo (saremmo cannibali). Il sangue che è sgorgato da ostie consacrate, e che continua a stupire la scienza, che in alcuni casi riesce a dimostrarne perfino la compatibilità con il corpo terreno di Cristo, merita la nostra venerazione. La fede della Chiesa continua a esprimere l’adorazione come corpo di Cristo solo alle specie consacrate. Il sangue del miracolo è in funzione del sangue eucaristico, e non viceversa. Ma questo non toglie nulla all’importanza dei “miracoli eucaristici”: non se li è inventati qualcuno di noi, sono frutto di un intervento divino, che la Chiesa ha constatato con un discernimento rigoroso. Se Gesù, oltre a compiere il grande miracolo dell’Eucaristia, ha compiuto anche i “miracoli eucaristici” per aiutare la nostra debole fede, gli dovremo dare forse lezione per dirgli che non ci erano necessari, e che poteva farne a meno?   Se li ha fatti, e tanti, è segno che ne avevamo bisogno. Ma certo sono un aiuto, non sono l’essenziale. Carlo amava dire che se si vuole incontrare Gesù non è necessario fare il pellegrinaggio a Gerusalemme (per quanto utile!). Si incontra Gesù nella prima Chiesa sotto casa. Passando dalla presenza eucaristica in Chiesa, alla presenza di Cristo nel povero sotto casa, continuando così la celebrazione e l’adorazione nella carità. Che grande! Comprendo bene perché Carlo, anche con la sua mostra dei miracoli eucaristici, sta attraendo il mondo.

Per concludere, vorrei tanto che questo dibattito rientrasse nei toni di un rapporto sempre fraterno e rispettoso, dentro uno sforzo comune per avvicinarci adoranti a un mistero che ci supera, e che pur è fatto per abitare la nostra vita e renderla “divina”. Lascio il resto delle parole alla preghiera, quella di venticinque anni fa, in cui io balbettavo da teologo e da pastore, mentre un giovane santo era tra i miei ascoltatori, adorando con una fede più grande della mia. Grazie, Carlo, per avermi di tanto preceduto, per esserti fatto santo, in così breve tempo, operando ora dall’alto, con Gesù e in Gesù, un servizio enorme alla Chiesa del nostro tempo. Anche ai teologi e ai pastori!

  

Una riflessione per l’Ora Santa (5 maggio 2005)

 

Di  Mons. Domenico Sorrentino

Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti* 

 

«Come può costui darci la sua carne da mangiare?»

 

Per incontrarti, o Gesù, nel tuo mistero eucaristico, dobbiamo partire da tutta la serietà di questa domanda. Essa pone l’interrogativo dove l’interrogativo veramente va posto: sulla verità della tua carne eucaristica. Senza questa domanda, tutte le scappatoie intellettuali sono possibili, cedendo alla tentazione di rendere lo “scandalo” eucaristico – forma ultima dello “scandalum crucis” – meno “scandaloso”, più accettabile e gradevole per la nostra mente; ma così, anche, reso vano. Naturalmente a nostro danno: perché la tua carne ci è data come pane di vita.

 

«Come puoi tu darci la tua carne da mangiare?»

 

A questa domanda tu non rispondi con una trattazione teologica: questa la lasci alla nostra responsabilità, pur sempre sostenuta dal tuo Spirito, che accompagna il “sensus fidei” del popolo di Dio e il discernimento autorevole dei Pastori. No, non con una “trattazione” ci rispondi, ma con un monito. Fai appello al nostro desiderio più grande e alla nostra sfida più alta: il desiderio di una vita piena, vera ed eterna: la sfida della morte che sta sempre in agguato. Ecco cos’è in gioco!

 

«Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi»

 

Da queste parole affiora il tuo mistero, ma anche il nostro mistero. Tu ci riveli l’uno e l’altro. Ci riveli la tua pienezza di vita, illumini il nostro bisogno di vita. Tu sei la vita. La vita che scaturisce nell’eterno dal grembo del Padre, per farsi vita e luce dell’intera creazione. La vita che, nella forza dello Spirito, riempie il grembo di Maria per ridondare sulla tua umanità, e da essa, sulla nostra umanità.

L’Eucaristia si pone in questo miracolo della tua vita alla radice della nostra vita. Se il miracolo della tua “presenza” eucaristica ci fa tanto problema – non meno di quanto lo fece agli ascoltatori di Cafarnao – non è solo perché esso supera, senza alcun rimedio, ogni nostra misura intellettiva, ma anche perché i nostri occhi non sono abbastanza penetranti, e ben poco allenati ad andare oltre il volto delle cose fino alla loro radice ultima, la sorgente creatrice da cui tutto scaturisce attraverso Te e nel Santo Spirito. Se i nostri occhi fossero limpidi come all’alba della creazione, prima del grande “oscuramento” del peccato, ogni nostro sguardo portato sulle cose create sarebbe insieme stupore per le creature e adorazione del Creatore.

Dentro il miracolo eucaristico, c’è la forza pacata e onnipotente dell’evento creatore. Tu che dai l’essere a tutte le cose, ti sei appropriato del corpo nato dalla Vergine, e ti appropri di ogni frammento di pane e vino consacrati dalla tua Parola e dal tuo Spirito, facendone per noi l’espressione viva, la presenza piena, della tua corporeità e del tuo intero mistero personale.

 

Visus, tactus, gustus, in te fallitur, sed auditu solo tuto creditur.

 

Mistero grande! Misterium fidei! Ma è la tua parola che ce lo consegna. La tua parola non ha bisogno di dimostrazioni: si impone in forza della tua stessa verità: “In verità, in verità vi dico…”.

Tu sei la verità! Tu sei la vita!

Di questa tua specialissima presenza, tu ci illustri il senso e la fecondità.

Perché renderti presente nel pane dato da mangiare, nel vino dato da bere? Perché nulla più di questo segno è capace di ricordarci – con una memoria calda, attuale e puntuale, come di esperienza di un evento che accade quest’oggi – che tu ti sei donato a noi.

 

«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»

 

Dentro la semplicità dei nostri alimenti più ordinari, assunti nel tuo mistero, corre il dramma del venerdì santo, spira il silenzio profondo del sabato santo, esplode la vita nella domenica di risurrezione.

Dentro questa Ostia offerta alla nostra “manducazione” prima, e alla nostra intimità adorante dopo, c’è il tuo offrirti a noi come intimo, come amico, come Salvatore, in uno scambio che ci fa abitare l’uno nell’altro, e ci apre i segreti della comunione trinitaria.

 

«Chi mangia la mia carne, e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui»

 

Rimanendo in adorazione davanti a Te, prolunghiamo il dialogo d’amore a cui ci inviti in ogni nostra comunione eucaristica, assicurando un’eco perenne, nelle ore e nelle occupazioni del giorno, al momento liturgico in cui ti consegni a noi.

Adorandoti, Gesù, ti desideriamo. Nuovamente ti accogliamo. Ti abitiamo, e ti chiediamo di abitarci con tutta la tua forza trasformante: trasformaci in te. Ti chiediamo di possederci, in modo da vivere grazie a te, con la tua forza sempre fresca e rigenerante, e in vista di te, proiettati verso il traguardo dell’incontro pieno con te.

 

«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, […] io lo risusciterò nell’ultimo giorno»

 

Grazie, Gesù, perché sei farmaco dell’immortalità e segreto della nostra speranza. Nella tua presenza eucaristica si apre non solo, in verticale, uno squarcio di cielo, ma si disegna un raggio di luce che illumina il nostro futuro, bussola di orientamento e progetto di amore.

Ti lodiamo, Gesù per questa meravigliosa invenzione del tuo Cuore. I nostri pensieri e le nostre parole non basteranno mai a dire la tua lode.

Ti contempleremo col cuore di Maria tua Madre.

 

Ave, verum corpus natum de Maria Virgine.

O Jesu dulcis, o Jesu pie, o Jesu fili Mariae.

 

  

* Tratto da: I miracoli eucaristici. Tesori nascosti. Una prospettiva interdisciplinare. A cura di Rafael Pascual e Gianluca Casagrande, Editori Art, Roma 2005.