Omelia Cardinale Francesco Montenegro, Santuario della Spogliazione 22 maggio 2022

22-05-2022

OMELIA CARDINALE FRANCESCO MONTENEGRO

 Domenica 22 maggio Santuario della Spogliazione – Chiesa di Santa Maria Maggiore

Abbiamo ascoltato nel Vangelo: «Noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui». Dio bussa alla nostra porta. Farlo entrare è renderci liberi spogliandoci delle nostre abitudini per lasciarlo libero di fare casa in noi.

Che cosa grande: Dio ci abita!

Molti non si amano e non si stimano. Se potessero, cambierebbero tutto di loro. Gesù invece dice: «Noi verremo a lui». Dio non disprezza nessuno. Anzi…: «Anche se tu non ti ami, io ti cerco perché ti amo. Mi piace pensarti mia casa, per me vali più di ogni tempio costruito dall’uomo». Questo è l’amore! Abitare nel cuore degli altri!

Se ci credessimo sul serio… Ci sentiremmo preziosi perché avremmo la certezza che dentro di noi c’è qualcosa di grande (se c’è Dio c’è il cielo). La stessa preghiera non sarebbe un rivolgerci a un Dio lontano, ma Dio presente in noi, e pregare significherebbe lasciarci avvolgere dal suo abbraccio. Lui vuole sentirci familiari, non restare un ospite. E questa è amicizia …

Abitandoci ci porta in dono la sua pace: «Vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo». Quella del mondo spesso sa poco di pace. È costruita con le armi, e ne vediamo i terribili risultati (Ucraina, Mediterraneo, Etiopia, le 59 guerre che ci sono nel mondo).

Né possiamo pensare che sia pace quella che cerchiamo quando ci estraniamo dagli altri chiedendo loro di lasciarci in pace!

La “sua” è una pace diversa. Ci fa stare bene con tutti e con tutto, con noi stessi, con l’ambiente, le persone, le cose. Ci garantisce che non c’è situazione alcuna, anche la più pesante e inspiegabile, senza che sia presente un germe di speranza.

È’ la pace che permette a Francesco di dire quando non è accolto dai suoi: ‘questa è perfetta letizia’. Oppure, nonostante gli occhi malati, di farsi portavoce del creato col Cantico delle creature, o di dire al Signore: Tu sei santo, forte, grande, amore, sapienza, umiltà, bellezza, quiete, letizia, speranza, giustizia.

Francesco può rivolgersi così a Dio perché, spogliandosi dei suoi bene decide di farsi sua proprietà. Il vaso di creta, – lui – rimasto vuoto, togliendosi le vesti, ora diventa uno scrigno così pieno che – come è stato scritto – chi vede lui vede Gesù, era infatti definito alter “Christus”. E il Vescovo, quasi a siglare il gesto del giovane, è vero che lo ricopre dei suoi vestimenti per nascondere la nudità, ma in effetti lo riveste di Cristo (cfr Gal 3,27).

La spogliazione può lasciare perplessi per la sua radicalità, ma non è questo l’amore? Amare non è scegliere di consegnarsi a un’altra persona perché diventi il centro della propria vita? Non è offrirsi nudo all’altro, cioè per quello che si è, e ricevere l’abbraccio che fa diventare insieme una sola cosa?

Per Francesco spogliarsi per Dio significa eliminare quanto può ostacolare tale abbraccio, fondersi, sentirne la tenerezza, mettersi addosso l’odore della sua paternità e del suo amore. Ora decide di mettersi in balia di Dio e di lasciarsi come trasportare dall’acqua del fiume, senza impigliarsi nei fondali. Si fa leggero e si lascia portare verso il grande mare, sentendo la dolcezza di naufragare in esso!

Ha ragione Isaia a proclamare che «nell’abbandono confidente sta la vostra forza»! O il salmista a pregare: «Getta sul Signore il tuo affanno, ed Egli ti sosterrà». In tema sono pure le affermazioni di Carlo Acutis: «La nostra meta deve essere l’infinito, non il finito. L’Infinito è la nostra Patria. Da sempre siamo attesi in Cielo», «Sono contento di morire perché ho vissuto la mia vita senza sciupare neanche un minuto di essa in cose che non piacciono a Dio», «Essere sempre unito a Gesù, ecco il programma della mia vita».

Spogliarsi e svuotarsi è sganciarsi dalla fiducia in sé stessi, nelle proprie forze, nelle proprie ragioni e decisioni, per passare alla fiducia piena in Dio, per vivere con lui un’avventura che porta per strade imprevedibili e offrire una incondizionata disponibilità, basta vedere Francesco. «Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra (riferendosi a Pietro di Bernardone); d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza».

Francesco ha amando la povertà ci ha fatto scoprire che essere poveri non significa non avere nulla, ma avere tutto, o meglio, avere il Tutto, il Signore Gesù.

Alla luce di questo, possiamo dire che Francesco non è un povero, mai è fatto ricco della povertà che ha scelto come sua sposa.

Trovo nella preghiera di Charles de Foucauld sembra fotografia reale di Francesco: «Padre mio, mi abbandono a te, fa di me ciò che ti piace. Qualunque cosa tu faccia di me Ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto. La tua volontà si compia in me. Non desidero altro. Affido l’anima mia alle tue mani Te la dono, con tutto l’amore del mio cuore perché ti amo, ed è un bisogno del mio amore di pormi nelle tue mani senza riserve, con infinita fiducia perché Tu sei mio Padre».

Grazie al fratello Vescovo Domenico, per l’intuizione, frutto di fede, di rendere “visibile” a tutti questo santuario, anzi «questa perla», come l’ha definita Papa Francesco, perché non si perda memoria del gesto con cui Francesco ha segnato la storia della chiesa e non solo.

Come Francesco che svestendosi, si riveste di Cristo, pure noi, anche, se con modalità diverse, quasi a rate, possiamo tentare di vivere la nostra situazione di spogliazione. Accade quando, avvicinandoci all’altare, per ricevere l’Eucaristia, tendiamo la mano – è il gesto del povero – per ritrovarcela piena di Dio fatto pane, che ci dice: mangiami, diventiamo una sola cosa, facciamo festa. Direbbe Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

Questo gesto ci rimanda a quanto ha richiamato Papa Francesco riferendosi a questo luogo: i poveri.

Incontrandoli qui, ha ricordato chela loro presenza è la testimonianza della realtà scandalosa di un mondo segnato da molti poveri, e da pochi ricchi. Dopo duemila anni di vangelo, continua questo fenomeno di “inequità globale” e di “economia che uccide”. Richiamando il valore di questo luogo ha detto: «Tutti siamo chiamati a spogliarci di noi stessi; per questo dobbiamo imparare a stare coi poveri, a toccare la carne di Cristo! Il cristiano che li incontra li guarda negli occhi, li tocca». La nostra fede senza la mano tesa non è vera fede. Ci ha detto pure che Cristo è il modello originario della “spogliazione” e il suo cammino è un mistero di “spogliazione”. Ci si deve spogliare, più che di cose, di sé stessi, mettendo da parte l’egoismo che, facendosi palla di ferro al piede, ci impedisce di scoprire la bellezza dell’altro e la gioia di potergli aprire il cuore.

La devozione a Francesco diventi per ciò per noi imitazione e questo Santuario ci pungola investire sempre nella Chiesa e nella società la letizia evangelica, semplice e vera, perché solidale.

Facciamoci, perciò, compagni di viaggio di Francesco percorrendo la sua stessa strada, senza timore, in qualunque condizione ci troviamo, sino in fondo. Sarà perfetta letizia! E Maria ci aiuti.