Omelia Cardinale Raniero Cantalamessa, Santuario della Spogliazione 16 maggio 2021

16-05-2021

Raniero Cantalamessa, ofmcap

“VI SIETE SPOGLIATI DELL’UOMO VECCHIO

E AVETE RIVESTITO IL NUOVO”

Assisi, Santuario della Spogliazione, 16 Maggio 2021

(non pronunciato)

 

Celebriamo il mistero conclusivo della vita di Gesù: la sua Ascensione al cielo. Che significa dire che Gesù è “salito al cielo”? La risposta la troviamo nella breve frase con cui il Vangelo di Marco descrive l’Ascensione: “Fu elevato in cielo e sedette alla destra di  Dio”. Una frase che è entrata di peso nel credo della Chiesa: “È salito al cielo, siede alla destra del Padre”. Che Cristo sia salito al cielo significa che, anche come uomo, egli è entrato nel mondo di Dio e ne condivide la maestà. Gesù non entra in un luogo, ma in una dimensione nuova, dove non hanno più senso le nostre espressioni sopra, sotto, davanti, dietro. An­dare in cielo, significa andare a Dio; essere in cielo, signi­fica essere presso Dio.

L’Ascensione  non è un evento che riguarda però soltanto Gesú. Riguarda anche noi che siamo il suo corpo. Con lui, un frammento del nostro universo è giunto definitivamente a Dio. Si tratta di una primi­zia che esige un raccolto pieno. Dove è il capo lì deve essere anche il suo corpo che è la Chiesa. “Oggi – diceva san Leone Magno nell’omelia per la festa odierna – ricordiamo e celebriamo il giorno in cui la nostra povera natura è stata elevata in Cristo fino al trono di Dio Padre“ (Discorso 2 sull’Ascensione, 2).

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 Fin qui la nostra riflessione sul mistero celebrato dalla liturgia. Noi, però, stiamo celebrando questo mistero nel santuario della spogliazione di Francesco d’Assisi e non possiamo mancare di raccogliere anche l’insegnamento che ci viene dal luogo. Ci sono dei luoghi che veicolano un messaggio, e questo è uno di essi.

Il primo biografo di Francesco, Tommaso da Celano, racconta cosa avvenne in questo luogo:

Comparso davanti al vescovo, Francesco non esita, né indugia per nessun motivo: senza dire o aspettar parole, si toglie tutte le vesti e le getta tra le braccia di suo padre, restando nudo di fronte a tutti. Il vescovo, colpito da tanto coraggio e ammirandone il fervore e la risolutezza d’animo, immediatamente si alza, lo abbraccia e lo copre col suo stesso manto. Comprese chiaramente di essere testimone di un atto ispirato da Dio al suo servo, carico di un significato misterioso. Perciò da quel momento egli si costituì suo aiuto, protettore e conforto, avvolgendolo con sentimento di grande amore” (FF 344).

Questo momento riveste un’importanza tutta particolare nella vita del Poverello. L’attore che interpretò il santo nel film realizzato da Fabrizio Costa per RAI Uno, intitolato “Chiara e Francesco”, mi disse una volta che per ottenere la parte di Francesco aveva dovuto sottoporsi a un provino. E la scena del provino, per tutti i candidati, era quella della spogliazione di Francesco davanti al Vescovo. Era ritenuta la scena cruciale.

Il vescovo Guido, capì subito l’importanza di quel gesto. “Comprese chiaramente –sottolinea il Celano – di essere testimone di un atto ispirato da Dio al suo servo, carico di un significato misterioso”. Quale fosse questo significato nascosto ci aiuta a coglierlo una parola di Paolo: “Vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo” (Col 3, 9-10). La spogliazione di Francesco davanti al vescovo è il segno di un’altra spogliazione, interiore e invisibile, così radicale che solo un gesto  esteriore altrettanto forte poteva adeguatamente mettere in luce.

Francesco ha attuato, nel modo più radicale, la conversione evangelica. In tutti i suoi scritti egli chiama questa conversione “fare penitenza” (“Il Signore diede a me, Frate Francesco, così incominciare a fare penitenza”, dice nel Testamento. “Fate penitenza” (poenitentiam agite, o poenitemini) era l’espressione con cui nella Bibbia latina di quel tempo veniva  tradotto il grande proclama di Gesú all’inizio del suo Vangelo: “Metanoeite, cioè Convertitevi (Mc 1, 15).

Non si tratta di fare penitenze e mortificazioni, ma di cambiare completamente il proprio modo di pensare. Una vera e propria rivoluzione mentale, per la quale “quello che prima era amaro diventa dolcezza di anima e di corpo”. Il santo lo definisce “un uscire dal mondo” che qui significa chiaramente uscire da se stesso, rinnegare se stesso. Francesco ha scelto Dio al posto dell’io. Una sola lettera dell’alfabeto distingue, nella nostra lingua, le due realtà, ma tra di esse corre un abisso infinito. Occorre un salto mortale, una morte, per passare da una sponda all’altra.

Il bacio al lebbroso che nelle biografie del santo segue immediatamente la spogliazione è il segno di questa conversione. Spesso, purtroppo, ci si inganna nell’interpretare questo gesto. Lo si prende come un gesto eroico di carità, o peggio, come il segno di una scelta di classe, cioè della decisione di Francesco di farsi povero coi poveri. Celano spiega chiaramente da dove scaturì la forza dirompente di quel gesto:

“Mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò.  Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria” FF, 348).

“Fece violenza a se stesso”, cioè rinnegò se stesso”, “si spogliò di se stesso”. Qui avvenne l’inversione di marcia.

Quella rievocata fin qui, tuttavia, è solo una parte della storia e neppure la più importante. Questo “Santuario della spogliazione” potrebbe altrettanto giustamente chiamarsi “Santuario della vestizione”. Anche il gesto compiuto dal vescovo di accogliere Francesco sotto il suo manto aveva un significato misterioso e spirituale. È quello che avviene in ogni vestizione religiosa. Il candidato si spoglia del suo abito secolare e viene rivestito dell’abito religioso. Paolo ci ha detto che cosa –meglio, chi –  rappresenta l’abito nuovo: “Avete rivestito l’uomo nuovo”, “Vi siete rivestiti di Cristo” (cf. Rom 13, 14). Il rinnegamento di sé è solo la protasi, la premessa necessaria. La cosa più importante e più esaltante è quello che viene dopo.

La conversione di Francesco, più che conversione “da qualcosa”, è stata conversione “a qualcosa”, meglio, a Qualcuno. Uno sposalizio con Cristo. La famosa metafora delle nozze di Francesco con Madonna Povertà può indurre in errore. Non ci si innamora di una virtù, fosse pure la povertà; ci si innamora di una persona. Le nozze di Francesco sono state, come quelle di altri mistici, uno sposalizio con Cristo. Francesco ha sposato certamente “Madonna Povertà”, ma per così dire “in seconde nozze”, come conseguenza di un precedente sposalizio.

A questo punto rientra in scena il lebbroso. Perché la conversione a Cristo sia autentica e non una semplice pia disposizione d’anima, essa deve tradursi in una conversione al prossimo, in particolare ai più poveri e bisognosi. A suo tempo i più poveri dei poveri erano i lebbrosi e Francesco va verso di essi. Non una sola volta con un gesto eroico isolato. Subito dopo aver riferito il gesto della spogliazione, il Celano prosegue dicendo:

“Poi, come vero amante della umiltà perfetta, il Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulente” (FF, 348).

Il vescovo Domenico Sorrentino ha colto questa dimensione del gesto di Francesco e l’ha sintetizzata in una frase: “La spogliazione di Francesco è una capacità di abbraccio”. È commovente che a dire questo sia il successore del vescovo Guido che quel giorno accolse Francesco nudo sotto il suo manto. Oggi egli ha accolto sotto il suo manto –nella sua Chiesa e in questo santuario della spogliazione – un altro innamorato di Cristo, anche se questa volta solo dopo la sua morte, il beato Carlo Acutis.

Siamo nella linea di papa Francesco e dei suoi sforzi “per un’economia solidale e fraterna”. Essa è anche ciò che ha ispirato l’istituzione del premio internazionale “Francesco di Assisi e Carlo Acutis”, assegnato ieri all’Istituto Serafico di Assisi in occasione del 150° anniversario della sua fondazione.

Il papa S. Leone Magno, nello stesso discorso sull’Ascensione ricordato all’inizio, ha scritto una frase di immensa portata teologica e pratica:  “Tutto quello che c’era di visibile nel nostro Signore Gesú Cristo, è passato ora nei sacramenti della Chiesa”. Uno di questi “sacramenti” – il più universale e concreto- è il “sacramento dei poveri”. Ricordiamo le parole del nostro Maestro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).