Omelia di mons. Sorrentino Traslazione del Corpo del Ven. Carlo Acutis 06 aprile 2019

06-04-2019

OMELIA PER LA TRASLAZIONE DEL CORPO DEL VEN. CARLO ACUTIS

Santuario della Spogliazione – Assisi – 6 aprile 2019

Cari fratelli e sorelle,

l’adultera perdonata: uno dei brani  in cui il vangelo non solo sorprende, ma sconcerta  e ci obbliga a riconoscere un Dio tanto diverso dai nostri pensieri.

Nell’episodio raccontato sta per consumarsi un dramma: la fine violenta di una donna, o la condanna di Gesù, se egli avesse tentato di salvarla mettendosi contro la legge. Gli accusatori agiscono in nome di uno zelo che presume di porre Gesù  di fronte all’alternativa tra misericordia e giustizia. Un fendente che poteva essere mortale. Gesù lo scansa, gettando in campo una parola pesante come un macigno:  «chi è senza peccato scagli la prima pietra». Una parola che inchioda i suoi oppositori, accusatori inflessibili, che dimenticano o nascondono il loro peccato. Ne esce un capolavoro tutto divino: grazia per tutti. Gli accusatori sono riportati alla loro coscienza, e forse rimessi in questo modo sulla strada della salvezza. La donna,  colpevole quanto sventurata, trattata da Gesù con il più grande rispetto, avvolta da uno sguardo di amore finalmente puro, perdonata e insieme orientata a una vita nuova.

Questo vangelo dice novità. Un’aria fresca e rigenerante soffia sull’umanità. Uno sguardo inedito avvolge la nostra vita. Uno sguardo – quello di Gesù – che non copre il nostro peccato, anzi lo chiama per nome, come una cosa brutta di cui liberarsi, ma insieme apre una nuova via che è di verità e di misericordia. È quanto emerge non solo dalle parole di Gesù, ma anche dai suoi gesti.

In particolare incuriosisce il suo chinarsi per scrivere per terra. Segno misterioso. Lascia col fiato sospeso.  Un dito, quello di Gesù, che, qualunque cosa scriva, scrive una pagina di verità sull’animo degli accusatori e una pagina di misericordia sulla vita di questa donna. Un dito che distingue il bene e il male. Un dito che ammonisce, ma non uccide, anzi, fa vivere. È il dito di Dio venuto a scrivere nella nostra carne mortale. Lo stesso dito che, agli albori della creazione, diede forma all’essere umano – come non ricordare il capolavoro della creazione dell’uomo affrescato da Michelangelo nella Cappella Sistina – e che è continuamente all’opera per restaurarne l’immagine sfigurata dal peccato. Nella tradizione spirituale della Chiesa, il dito è immagine dello Spirito Santo, “digitus paternae dexterae”: dito della destra del Padre.

Siamo chiamati a meditare questo episodio mentre stiamo per compiere  la tumulazione in questo Santuario dei resti mortali del venerabile Carlo Acutis.

Il vangelo non è stato scelto per l’occasione. È semplicemente il vangelo di questa V domenica di quaresima. Sarebbe una forzatura legare le due cose.  Eppure mi sembra che anche questa pagina  proietti la sua luce su quanto stiamo per compiere. Il segreto è forse proprio quel  “dito” misterioso, con cui Gesù scrive una pagina nuova nella storia delle persone che gli stanno di fronte  e insieme una pagina nuova della storia dell’umanità.

Si compie così  la profezia di Isaia ascoltata nella prima lettura, rivolta all’antico popolo desolato e smarrito:  «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?».

            Dio fa cose nuove, anzi, fa nuove tutte le cose. Da quando Gesù abita la nostra storia, tutti i deserti bruciati dal nostro peccato si possono aprire ad un’acqua viva che crea nuova vegetazione ed apre spazi di vita nuova.

Fu uno spazio di vita quello che si aprì otto secoli fa, quando la Chiesa viveva uno dei suoi tanti periodi critici, e, stando alla parola detta al giovane Francesco dal crocifisso di San Damiano, somigliava a una casa pericolante, bisognosa di essere riparata. Il giovane figlio di Bernardone accolse l’invito. Proprio in questo luogo ora eretto a Santuario, disse pubblicamente il suo sì  a Gesù, spogliandosi di tutto per lui. Il suo denudarsi rendeva plasticamente le parole di Paolo ascoltate nella seconda lettura: «Ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo».

Oggi, Carlo. Viene a riposare in questo stesso ambiente che fu testimone della spogliazione di Francesco. Additato pochi giorni fa dal papa come esempio di santità dell’era internet, anche lui lascia ai giovani del nostro tempo  un segreto di vita nuova:   la scelta di Dio che non ammette compromessi. Spogliazione completa. Fatta non con gesti clamorosi, ma nell’intimo del cuore.  È il senso del suo slogan lapidario: «Non io, ma Dio».

Questa sera noi stiamo sperimentando la novità di Dio, la sua capacità di sorprenderci con quei “colpi d’ala” che tante volte arrivano proprio attraverso i santi alla storia cristiana, per sottrarla alla trappola della mediocrità, e rimetterla in cammino come promessa di avvenire per gli uomini di ogni tempo.

Dio è novità. Dio è giovinezza. E chiama ciascuno di noi, come ci spiegano Francesco e Carlo, ad essere una “cosa nuova”. Anche quando il peso della vita e le cicatrici del peccato hanno imbruttito il nostro volto, la misericordia è capace di restituirci nuova giovinezza.

Nel vangelo che abbiamo letto, era una donna che riprendeva a vivere. Sul suo corpo i segni di un peccato, che presumibilmente erano anche le ferite di un indegno sfruttamento di un partner  che si nascondeva dietro una legge impietosa e maschilista, mentre la donna da lui amata, o forse sfruttata, era prossima ad essere lapidata.

Sotto lo sguardo di Gesù, quella donna rinasce. Torna a vivere. Torna al suo splendore. Torna, direbbe Carlo, alla sua “originalità”.

Dio fa nuove tutte le cose. Le riporta alla loro “origine”. Le rifà originali.  “Tutti nasciamo originali, molti muoiono fotocopie”, ammoniva Carlo. Solo scegliendo la via della santità, possiamo sottrarci al destino di una omologazione negativa, per diventare fino in fondo quello che siamo. La santità ci restituisce lo smalto di una vita che Dio non vuole deprimere, ma sublimare.

Il Francesco che qui si spogliò di tutto, diventò il giullare di Dio, il cantore delle meraviglie del creato, il fratello universale capace di restituire ai poveri dignità e alla società divisa la riconciliazione.

Carlo che qui da oggi riposa con le sue spoglie mortali, ma continua in cielo ad occuparsi di noi,  non rinunciò alle bellezze di una vita ricca di stupore per le  meraviglie della natura, fino all’ebbrezza della più moderna tecnologia informatica. Ma immise in tutto questo il sapore del vangelo, centrando la sua vita sull’Eucaristia, la sua “autostrada per il cielo”.

Il tempo in cui egli ha vissuto il suo breve ma luminoso tragitto terreno è quello di internet. Egli fu, come tanti giovani del nostro tempo, un “nativo digitale”. Il mondo digitale fu il suo modo, non esclusivo e non fanatico, ma certamente appassionato, di comunicare. E se ne servì per comunicare il bene. Per additare la meraviglia eucaristica. Per costruire nel mondo del web la rete del bene.

Per usare ancora la misteriosa immagine del vangelo appena ascoltato, egli lasciò che il dito di Gesù scrivesse nel suo cuore una pagina meravigliosa, e al tempo stesso offrì le sue dita a Gesù, perché il mondo digitale sappia scrivere per l’umanità un futuro migliore, senza lasciarsi travolgere dalla valanga del male.

Ora siamo  a deporre le sue spoglie mortali in questo Santuario, perché la sua luce si incontri fino a fondersi con quella che otto secoli fa brillò in Francesco e fa di Assisi una città speciale. Francesco e Carlo, ormai indissolubilmente uniti. Insieme cantori della vita e del bene. Insieme trascinatori di giovani e testimoni del vangelo.

Davvero una cosa nuova germoglia all’orizzonte di un’umanità segnata da una crisi epocale. La profezia di Isaia si realizza anche per il nostro tempo. Sta a noi prenderla al balzo, per fare con Francesco e Carlo l’esperienza dell’apostolo Paolo, tutto proiettato verso il futuro di Dio. Val la pena riascoltarne ancora le parole programmatiche da poco proclamate. Si applicano anche a Francesco e a Carlo: «Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù».