Omelia del Vescovo Sorrentino per la Celebrazione Eucaristica in occasione della consegna del Programma Pastorale 2023-2024

10-09-2023

OMELIA PER LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

IN OCCASIONE DELLA CONSEGNA DEL PROGRAMMA PASTORALE 2023-2024

Tutto, nella Parola appena proclamata, dice amore. L’amore in tante sfaccettature. Provvidenza liturgica per la nostra odierna celebrazione, che scandisce un momento importante del nostro anno di Chiesa: la consegna del programma pastorale. Da anni stiamo seguendo un filo: il filo della carità. Questa, come ci ha appena detto l’apostolo Paolo, è la “pienezza della Legge”. Della Legge di Dio, innanzitutto, e di ogni altra legge, che non ha mai forza moralmente vincolante se non è conforme alla legge di Dio. Paolo ci dice che tutti i comandamenti hanno un solo senso: l’amore, declinato per le varie situazioni della vita. Ne enumera  alcuni che hanno speciale valenza sociale: “non commettere adulterio”, posto a difesa della famiglia, a sostegno di un amore coniugale fedele e indissolubile; “non ucciderai”, posto a difesa della convivenza nel suo primo valore, che è  la vita, inviolabile sempre, fin dal suo sbocciare nel grembo materno, valore decisivo, dimenticato il quale, la società è posta a rischio di dissoluzione, fino alla guerra di tutti contro tutti; “non rubare”, comandamento connesso all’altro di “non desiderare”, ossia di non alimentare il desiderio delle cose e delle persone che sono nel legittimo cerchio familiare o di proprietà degli altri, perché da questo desiderio possono nascere non soltanto molte frustrazioni del cuore, ma anche la tentazione di esercitare violenza e sopruso, e questo sia sull’umanità che sulla natura, con la conseguenza del  disordine sociale e del dissesto ambientale. Se esaminiamo i comandamenti, guardandoli nelle loro conseguenze personali, familiari, sociali, cosmiche, ci accorgiamo che essi sono presìdi, direi  “sentinelle” che segnalano un pericolo, ci avvertono che la nostra vita è sempre sul ciglio di un burrone, ci ricordano che rotti gli argini di un fiume abbiamo solo inondazioni di fango e detriti che mettono a repentaglio la nostra esistenza, ne incrinano la serenità, ne deturpano la bellezza. I comandamenti sono sentinelle di bellezza. Il loro nome comune, ci ricorda Paolo, è carità. Di questo messaggio paolino la prima lettura e il Vangelo ci offrono versioni altrettanto importanti. Nella prima lettura, il profeta Ezechiele è chiamato ad essere egli stesso “sentinella” per il suo popolo. Egli deve tenere in vista i cartelli di pericolo, ossia i comandamenti di Dio. Se non ammonisce gli erranti, è responsabile della loro morte. “Sentinella” è una bella immagine che può applicarsi a ciascuno di noi. La nostra vita, per sua natura, è precaria e fragile. Viviamo in un mondo bellissimo, ma dove burroni e precipizi sono ad ogni piè sospinto. Basta una distrazione, basta che manchi un cartello ammonitore o che non sia collocata una palizzata protettiva, è puoi precipitare. Ognuno di noi ha bisogno di una sentinella ed è chiamato ad essere sentinella per gli altri. Qualcosa di simile ci dice anche il Vangelo. Ci spiega lo stile di una vera correzione fraterna. La sentinella è un fratello che ti vuol bene. Un fratello rispettoso, umile, che non si erge a giudice. Se tu hai fatto del male, egli non comincia col mandare l’avviso pubblico, innescando il chiacchiericcio diffamante, ma viene da te, e con garbo e umiltà ti mette sull’avviso, e solo quando il tuo errore diventa protervia nel male, soprattutto se questo male è di pericolo anche per gli altri, sente il dovere di renderlo di pubblica ragione, perché tu sia salvato – magari attraverso la legittima correzione e pena riabilitativa – e tutti siano messi al riparo dalle conseguenze del male che hai commesso o stai per commettere. È un discorso, questo, rivolto in particolare ai figli della Chiesa. Ma non c’è niente all’interno della Chiesa, che non abbia influenza sociale. Ha questa influenza anche l’ultima indicazione di Gesù, vera perla del Vangelo, in cui egli assicura la sua presenza tra quelli che si riuniscono nel suo nome, al punto che la loro preghiera unanime – una “sinfonia”, un mettere insieme le voci, secondo il testo greco – è una preghiera efficace sul cuore del Padre. La Chiesa – come la definisce il Concilio Vaticano II – è sacramento dell’unione con Dio ma anche dell’unità di tutto il genere umano. La Chiesa vive nella storia. Non è una setta, non è una società separata. Ha certo le sue caratteristiche proprie, che devono essere sempre salvaguardate, ma è radicata nella storia, a servizio di tutti gli uomini e di tutte le donne del mondo. Essa infatti è incardinata su Gesù, ne è il corpo mistico, e Gesù è il Dio fatto uomo per tutti, morto e risorto per tutti. Pertanto la Chiesa, mentre annuncia la “città di Dio”, non può disinteressarsi della città degli uomini, della “polis”, e di ciò che riguarda la “polis”, la politica nel suo senso più alto, che è il perseguimento   del bene comune  attraverso le dinamiche della civile convivenza, delle istituzioni, delle leggi, dello Stato e della sua amministrazione. Il Vangelo ha anche una dimensione sociale. La dottrina sociale della Chiesa copre questo ambito, al quale quest’anno vogliamo portare speciale attenzione

Arrivando così, nel nostro cammino pastorale, alla “carità politica”, siamo a un punto particolarmente importante ma anche particolarmente delicato del nostro impegno di Chiesa. Occorre formarci bene. La scelta che vi propongo quest’anno è appunto quella formativa.

            Non vi anticipo i contenuti della Lettera Pastorale che sto per consegnarvi. Vi invito   a leggerla con attenzione. È tempo di un cristianesimo adulto, e di un laicato formato, responsabile, attivo nella realtà sociale, economica, politica, perché il Vangelo illumini anche questi ambiti della civile convivenza.

            Avevamo programmato da tempo questo discorso sulla carità politica, ma essendo io arrivato all’età in cui noi vescovi siamo invitati a lasciare ad altri il testimone, immaginavo che proprio questo tema sarebbe rimasto fuori dal mio servizio. Ed invece il Papa ha voluto confermarmi per questa sorta di tempi supplementari. Mi sono permesso, a conclusione di questa lettera, di usare  la metafora sportiva per dire che ringrazio Dio di avermeli dati,  ma mi piacerebbe che il “goal” – il goal di Dio – lo facessimo insieme. Detto in altri termini, sarei tanto felice, se dopo tanti anni di servizio, dopo avervi dato a lungo linee di rinnovamento pastorale che ritengo vitali ed urgenti, ma che siamo ben lontani dall’aver realizzato, mi deste la consolazione di sentirmi accompagnato ed esaudito. Credo che sarebbe  un bene per voi tutti, per la nostra Chiesa e per il nostro territorio. Soprattutto credo – ed è la cosa più importante – che sarebbe gradito a Gesù. Tutto affido alla sua grazia e  benevolenza.