Omelia del Vescovo Sorrentino per la Solennità di San Rufino – Cattedrale di San Rufino, sabato 12 agosto 2023

12-08-2023

OMELIA SOLENNITÀ DI SAN RUFINO

L’anno scorso non ero qui.  La malattia mi tenne bloccato. In ogni caso, secondo le previsioni, quest’anno sarebbe stato forse la mia ultima festa di s. Rufino. Il Signore mi ha voluto ancora con voi. Desidero rendere grazie.

Mi preme tuttavia fare di questo grazie un fatto non solo personale. Abbiamo la grazia di avere come patrono il fondatore di questa Chiesa. Colui che con la sua parola, la sua vita e il suo sangue ha tracciato la via sulla quale essa ha camminato per secoli. Non tutte le Chiese hanno per patrono il fondatore. E’ un privilegio che ci fa sentire comunità che cammina nel tempo, nell’unità tra le generazioni che si avvicendano. Quanti fratelli e sorelle ci hanno preceduti. Essi sono non soltanto nella storia quale gli uomini possono scriverla nei loro libri. Essi sono nel mistero della comunione che unisce cielo e terra. Essi sono con noi. Ed è tanto bello sentirci uniti ad essi, a questa lunga catena umana che è una catena di grazia, di bellezza, di vicende lieti o tristi, ma tutte immerse nella misericordia che non viene mai meno. Anche per me, pastore, è bello poter dire: sono, indegnamente, il successore di san Rufino. Celebrare la festa del patrono è anche sentirmi come di fronte a uno specchio. Un continuo richiamo alla mia responsabilità. Fino a che punto sono vicino a quell’amore che portò san Rufino non soltanto ad essere evangelizzatore e a svolgere un ministero di padre per questa comunità, ma lo portò fino al martirio? Una domanda che non cesso di farmi.

E me la faccio per farla rimbalzare anche su di voi, cari fratelli e sorelle. Non si può essere figli di un martire, senza chiederci se siamo rimasti degni di lui.

Quando egli ci evangelizzava, Assisi era ancora sotto l’influsso di una cultura pre-cristiana, la cultura degli dei di cui abbiamo ancora un monumento nel tempio di Minerva che si staglia nella nostra piazza del Comune, anche se col nome cristiano di Santa Maria Sopra Minerva. Assisi era ancora nella logica di quell’amore umano che il poeta Properzio cantava per la sua Cinzia, amore non ancora evangelizzato secondo la logica evangelica dell’agape, ossia dell’amore di Cristo crocifisso. La sua casa, almeno secondo alcune opinioni, è ancora sotto l’antica Cattedrale di Santa Maria Maggiore, oggi eretta anche come Santuario della Spogliazione, a ricordare il cammino fatto da questa comunità. Non che la cultura pagana fosse tutta da rigettare. I semi di Dio rimangono in ogni cultura, anche tra i suoi limiti ed errori, e la scintilla di Dio rimane in ogni uomo, spesso come fuoco sotto la cenere. E per questo la Chiesa nella storia è stata sempre attenta, direi quasi premurosa, nel custodire anche i resti dell’antica cultura. Ma indubbiamente il passaggio dalla cultura pagana a quella cristiana fu un salto di qualità: la qualità che veniva ormai non da uomini, ma da Dio stesso, da quando Dio ha fatto il cammino sconcertante di lasciare il suo cielo, spogliarsi della sua gloria, e farsi carne nel grembo di Maria. Questa novità non è una tra le tante che la storia ci riserva. E’ la novità delle novità, la novità perenne, che ormai eleva la storia stessa a un nuovo livello di grazia e di responsabilità. E’ ciò che ci fa guardare avanti con fiducia, nonostante tutte le pesantezze della nostra vita. E’ anzi il traguardo stesso a cui noi miriamo. Noi oggi vogliamo dire a San Rufino che egli non è morto invano. Che il sangue versato per noi ha prodotto frutti. E non soltanto i frutti eminenti di santità che, soprattutto con Francesco, Chiara e oggi il beato Carlo, rendono questa Città un’attrazione per la Chiesa universale. Ma anche la santità nascosta, quella della “porta accanto”, come la chiama papa Francesco, che ha contraddistinto tante generazioni di persone devote, coerenti, umili, che hanno trovato nella fede il senso della vita.

Indubbiamente, però, oggi siamo a un tornante della storia, anche di quella cristiana. Non ce lo possiamo nascondere. Anzi, una delle più grandi tentazioni è voltare lo sguardo dall’altra parte, o fare la politica dello struzzo, decidendo di non vedere quello che sta accadendo intorno a noi e forse dentro di noi. L’era internet, che è iniziata solo trenta anni fa, almeno nella sua espressione più evidente, non è piccola cosa. Essa sta riplasmando i nostri pensieri, i nostri costumi, i nostri rapporti. Essa è entrata a gamba tesa nella nostra vita di comunità cristiana, facendoci sperimentare dei fenomeni di allontanamento dalla fede, di divaricazione rispetto ai nostri valori tradizionali, che stanno dando tutt’altra figura alle nostre comunità. Basti pensare a ciò che sta avvenendo nel mondo della famiglia, il piccolo mondo da cui però tutto dipende. Siamo ormai in un tempo in cui il valore stesso dell’amore di coppia, che si fa per sempre anche amore genitoriale, capace di indissolubilità e di fecondità, è messo radicalmente in questione. Non sappiamo dove questa crisi dell’istituto matrimoniale ci porterà, ma certamente, se non c’è un’inversione di rotta, non ci porterà verso il bene. Il discorso si può fare più ampio, declinando la stessa crisi su molti altri settori della nostra vita. Non a caso, nel prossimo tratto del nostro cammino pastorale, incentrato sul tema della carità, faremo un’applicazione che avrà come ambito la “polis”, la città in tutte le sue espressioni. Parleremo, il 9-10 settembre prossimo, di carità politica. Cioè di un amore che, proprio per essere l’amore di Cristo a noi trasmesso da san Rufino, non può essere il piccolo amore dei nostri sentimenti personali espressi in maniera individuale e verso singole situazioni di bisogno, ma deve diventare un amore a tutto campo, che va alla radice dei problemi, e pur nella distinzione degli ambiti e nel rispetto delle istituzioni, si porta dovunque, nella vita sociale, culturale, politica, economica, perché tutto tenda al bene comune, e tutto sia soprattutto a vantaggio di quei fratelli e quelle sorelle che vivono in stato di più grande bisogno.

La festa di San Rufino ci porta così all’attualità. Ci interroga. Ci chiede se siamo una comunità che si arrende alla stanchezza, che guarda stupita agli eventi che la segnano senza capacità di reazione, quasi arrendendosi a una prospettiva di estinzione. San Rufino ci dice, con il suo martirio, che invece la primavera è già seminata. E per sempre. Occorre solo scoprirne i semi, custodirli, coltivarli. Occorre uno scatto di entusiasmo, che parte dal coraggio di guardare in faccia alla realtà, ma soprattutto di fissare gli occhi su Cristo. Ancora, e sempre, è lui che ci salva. Ancora e sempre, deve essere lui il tesoro della Chiesa, l’unico amore di ciascuno di noi.

L’anno scorso ci siamo dati come programma una grande missione strada – casa. Rimane ancora il tempo della missione. Non possiamo voltare pagina. Sono grato a quanti, sacerdoti e laici, hanno preso sul serio il mio invito. Siamo ora chiamati a rimanere con gioia sulla via della missione, ma allargando lo sguardo all’orizzonte della città e delle sue sfide, perché ancora una volta il vangelo possa essere lievito di fraternità, di bellezza, di santità.

Che San Rufino continui a intercedere per noi, perché tutto questo sia possibile e sia il segreto di una gioia rinnovata. San Rufino, prega per noi!