Omelia del Vescovo Sorrentino per la Celebrazione Eucaristica in occasione della Giornata mondiale della vita consacrata

02-02-2024

Carissimi,

questa festa di luce ci raggiunge mentre ancora, per tanti motivi, il mondo è sotto incubi disastrosi e minacciosi. La nostra festa si deve proiettare sul mondo. Ne ha le caratteristiche. Lo vorrei proporre a voi in questa chiave, e mille parole mi verrebbero suggerite dalla teologia e dalla spiritualità. Ma io vorrei sceglierne una a prima vista quasi un po’ più “profana”, per così dire: la parola “felicità”, modo più corrente nel nostro gergo per dire “gioia”, parola quest’ultima alla quale la nostra liturgia è più abituata. Anche nella nostra comune preghiera diocesana, che diremo alla fine, per ben tre volte ritorna la gioia.

Preferisco oggi la parola felicità. È forse più provocatoria. Sono convinto che l’annuncio cristiano, anche in questo mistero della Presentazione oggi celebrato, resti per sempre la più grande e vera provocazione fatta all’umanità, provocazione nel senso di un impulso ad agire e reagire, ma anche nel senso di pro-vocazione, ossia di un appello di Dio che si fa chiamata a costruire insieme qualcosa di bello.

Visto così, questo episodio appena ascoltato nel Tempio di Gerusalemme raccoglie, in modo direi toccante, quello che Dio vuole annunciare del suo progetto di felicità per il mondo, e quello che noi dobbiamo sposare, per essere sempre di più all’altezza del suo dono.

Sì, Dio vuole un mondo felice. Diciamolo forte: felice. Lo ha creato per questo. Il racconto biblico lo scandisce quasi con l’insistenza a cui oggi siamo banalmente assoggettati dalla propaganda commerciale: “E vide che era cosa bella e buona”. Dio non doveva vendere il suo prodotto, lo doveva soltanto donare. Un prodotto bellissimo, capace di fare della terra un Eden, il Paradiso anticipato.

Sappiamo come sono andate le cose. Un disastro. Un disastro forse annunciato, dato che già nel mondo angelico la libertà intrisa di orgoglio aveva prodotto il negativo satanico, l’antico serpente, ma un disastro, per misericordia, subito riscattato: una donna ti schiaccerà il capo, il seme, la discendenza di questa donna, rivolgerà le sorti perdenti dell’umanità in vittoria di amore. Da sempre l’esegesi spirituale ha visto in queste parole la promessa dell’incarnazione redentrice, Gesù nelle braccia di Maria, la nuova Eva.

Ed eccolo, ora, questo seme, passato nell’incubazione di millenni, dalla grande vittoria dell’Esodo, fino all’Esodo definitivo, attuato nel corpo del Figlio di Dio incarnato e crocifisso, dove il male viene radicalmente sconfitto, in attesa che noi ci appropriamo, ciascuno per conto suo, ma anche tutti insieme, di questa vittoria.

Simeone, in questa icona, è il volto della gioia. Diciamo pure: della felicità. Una felicità così grande, che quasi trasborda, e non la può sopportare più con i limiti di questa terra. Sente il bisogno di portarla subito nel mistero dell’eternità, dove la potrà vivere senza misura e senza scadenze. “Ora lascia o Signore che il tuo servo se ne vada in pace…. perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza”.
Nella scena tutti gli occhi sono puntati su Gesù. Simeone presta le braccia a Maria e a Giuseppe, non certo per alleggerirli del loro abbraccio quotidiano di famiglia, che per entrambi è dolcezza e riposo, per farsi abbraccio universale, abbraccio del mondo a quel bambino in cui è tutta la nostra Salvezza. Mi pare di sentirgli già sussurrare le parole della nostra preghiera: “Gesù, nostro Amore, nostro tutto…. Tu sei la nostra gioia, il nostro canto, la nostra speranza, tutto il nostro bene”.

Carissimi, o l’annuncio cristiano torna ad essere, in modo sentito, provato e provocatorio, un annuncio di felicità, oppure il mondo – a partire da questa nostra vecchia e pur gloriosa Europa – lo sentirà come un’archeologia della quale proprio non c’è più bisogno nel tempo del metaverso e dell’intelligenza artificiale.
Questa festa ci implica tutti. Ogni battezzato la deve sentire sua. Ma come non potreste sentirla voi, carissimi religiosi e religiose, persone di vita consacrata di diversa fisionomia, dall’Ordo virginum, agli eremiti, ai membri degli Istituti secolari, come non sentirla da parte vostra con particolare intensità? Avete fatto scelte radicali che, in ultima analisi, sono il vostro “sì” al Dio della felicità, che vi ha voluto riempirvi di una gioia straripante perché tutta la Chiesa ne fosse contagiata e il mondo ne fosse conquistato. Felicità grande, piena, persino quando si finisce stritolati dalle grinfie di “sorella morte” ma cantando Francesco: Laudato sì mi Signore, con tutte le tue creature.
Sì, per favore, mettiamo gli occhi e il cuore, su questo Bimbo. Facciamolo con tutte le tonalità del nostro affetto, direi della tenerezza, senza temere di essere troppo dolciastri. Non facciamo i duri, non ci fingiamo tali: ad esserlo ci facciamo e facciamo solo male. Lasciamoci carezzare dagli occhi di questo Bimbo e scambiamo con lui il nostro cuore. Solo una vita consacrata che palpita con il cuore di Gesù può avere futuro e senso.
Un ultimo pensiero. Ho scelto la prospettiva della felicità, anche per fare a tutti voi un caldo invito a partecipare con maggiore consapevolezza, organicità e passione al nostro cammino spirituale nelle due diocesi a me affidate. Per quanto la maggioranza di voi siano sempre in movimento, il luogo dove si trova la vostra eucaristia è la vostra casa. Non potete considerarla, se non temporalmente, una casa provvisoria. Ma teologicamente, e spiritualmente, è la vostra casa comune, prima ancora delle vostre case particolari. L’albero viene prima dei rami, anche se è tentazione comune innamorarsi del ramo dimenticando l’albero. Abbiamo da anni ad Assisi – Nocera e Gualdo un progetto di rinnovamento incentrato sul programma di Chiesa come famiglia, programma teso a ricostituire intorno al Vangelo nelle nostre parrocchie il clima dei nuclei familiari, soprattutto spirituali, come nella vita di Gesù e della prima Chiesa. Ora, ad arricchimento, anzi come “faccia” preliminare, quasi pista di decollo di questo progetto, è venuta un’ispirazione dentro il contesto dell’impatto con la diocesi sorella Foligno. Ho capito – anche esaminando il cammino della società e della Chiesa in questo arco di tempo – che la prospettiva parrocchiale, per progetto, andava integrata come missione permanente strada-casa, guardando alla sofferenza che abita tante case, e portando la stagione della felicità dappertutto, innanzitutto nelle nostre case e nelle nostre famiglie. E’ il progetto casa-felice, incentrato su una formula semplice e garantita: fuori Satana, dentro Gesù.
Non è il momento di ulteriori spiegazioni. Per ora voglio solo incuriosirvi. Mi piacerebbe tanto che foste voi stessi a interessarvi a questo progetto, a farlo vostro, e a fare squadra con il vostro Vescovo e la vostra Chiesa particolare, diventando, care persone di vita consacrate, grandi punti di gioia da riflettere intorno a voi. Casa felice. Ma anche conventi felici. Comunità felici. Luoghi di vita cristiana e consacrata In cui l’abbraccio di Simeone e Gesù, il suo tenerlo stretto come un tesoro, anzi come l’unico tesoro al mondo, tra le sua braccia, elevandolo a Dio e consegnandolo all’umanità, sia veramente un abbraccio caldo, di quelli che ti “raddoppiano” l’anima e il corpo, ti danno un’energia incredibile perché evocano e portano in noi la forza dell’abbraccio trinitario, con quella gioia che Gesù da sempre sente e promette. Già tra le braccia di Simeone, si anticipano le sue parole: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Gioia e felicità, in Gesù, a tutti voi, carissimi. Amen