VEGLIA PASQUALE, L’OMELIA DEL VESCOVO SORRENTINO

Mons. Domenico Sorrentino

OMELIA PER LA VEGLIA PASQUALE 2020 – BASILICA DI SAN FRANCESCO

Laudato si’, mi Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte; et ellu è bello e iocundo e robustoso e forte.

Come non ricordare, in questa Basilica, le parole con cui frate Francesco, nel Cantico delle Creature, parla del fuoco? Nell’accensione del cero pasquale, è stato il primo segno di questa suggestiva liturgia. Partendo da quel fuoco, questo tempio, raggiante di fede e di arte, si è illuminato. Nella chiesa buia, si è accesa, pur nella sobrietà di una celebrazione a porte chiuse, la luce della Pasqua.

Abbiamo ieri seguito la via crucis, lasciando Cristo nel silenzio di una tomba. In quella tomba si è combattuta la guerra decisiva: quella tra la vita e la morte. La Pasqua grida: ha vinto la vita!

Gesù, il Risorto, è il Dio della vita. È la luce del mondo.

Nel pieno di una crisi mondiale, che ci sta interrogando sul senso della vita e ci sta svelando i limiti della nostra umanità, le domande ci incalzano.

La morte non è certo una novità. Ma morire come in guerra, senza il conforto dell’affetto dei propri cari e, per questi, senza lo sfogo di lacrime condivise, è doppiamente doloroso.

La malattia e i contagi non sono nuovi nella storia. Ma una epidemia globale, che ci chiede misure straordinarie di protezione di cui non conosciamo ancora i tempi, è qualcosa di inedito.

Nel buio di questa crisi, la Pasqua irrompe come annuncio di speranza.

Un annuncio centrato su un fatto: Gesù torna alla vita. Non quella di una carne fatta per morire di nuovo, ma quella di una carne penetrata dalla potenza di Dio nel segno dell’eterno. Carne riscattata dalla debolezza, che Cristo riceve per sé, ma promette anche, per la fine dei tempi, a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, si aprono sinceramente al suo amore.

Non fu facile ai primi testimoni convincersi della sua risurrezione. Non erano visionari né creduloni. Avevano la concretezza dei pescatori. Avrebbero potuto limitarsi ad annunciare una dottrina, un ideale, una memoria del fondatore. Sarebbe stato più facile. Furono invece costretti dagli eventi a prendere la strada più difficile: annunciare il Risorto. Lo fecero a costo della loro vita.

A Pasqua noi annunciamo questa loro certezza. La facciamo nostra. Ci fidiamo della loro testimonianza.

È messaggio che proietta speranza su tutta la nostra esistenza. Se la morte può essere sconfitta in modo così concreto e radicale, come è avvenuto in Cristo, allora c’è speranza per tutti. Il Risorto è l’áncora a cui ci possiamo aggrappare quando la tempesta minaccia di travolgere la barca della nostra vita.

Le letture che abbiamo ascoltate disegnano il cammino biblico che porta a questa speranza.

Ci parlano di un Dio che ha creato il mondo per amore, e non lo abbandona, anche quando il peccato semina i germi di ogni bruttura, devastazione e violenza.

Ci parlano di un Dio che, nell’Esodo, si è fatto liberatore di un popolo oppresso, prefigurando una liberazione più radicale, quella dal peccato e dalla morte.

Ci parlano di un Dio che apre squarci sempre nuovi di futuro, con promesse che richiedono certo la pazienza dell’attesa, ma sono promesse sicure, che trovano in Cristo il loro adempimento.

La liturgia di questa veglia è tutta nel segno del compimento. È un inno di vittoria.

Non possiamo tuttavia nasconderlo: questo inno stride con la dura prova che stiamo vivendo, con malati e morti che raggiungono cifre impressionanti, con una sofferenza di popolo costretto a difendersi rinunciando alla sua libertà di movimento. Ha senso cantare vittoria mentre è così alto il prezzo di una guerra che non accenna a finire?

Noi cantiamo la vittoria di Cristo. Una vittoria che non va intesa come una sorta di magia che ci toglie come per incanto i problemi e ci esonera dalla responsabilità di affrontarli. Non è questo il Dio cristiano. Non è questo il Vangelo.

La vittoria che proclamiamo è l’annuncio di una energia vitale che, dal cuore crocifisso di Cristo e dal suo volto di risorto, è ormai posta a disposizione di chiunque voglia fare sul serio i conti con la propria vita e con la propria morte. A tutti viene offerta una possibilità. Ognuno è chiamato a una accoglienza responsabile.

Alcuni simboli della liturgia pasquale ci ricordano questa dinamica di grazia e libertà. Così il simbolo dell’acqua che tra poco benediremo: segno di vita, scelto da Dio per il battesimo, sacramento della vita nuova. Così il simbolo del “respiro”, legato al dono dello Spirito Santo, che il Risorto alita sugli apostoli apparendo loro la sera di Pasqua. Sono doni che aspettano di essere accolti.

Per vivere non basta che ci sia l’acqua: la dobbiamo bere.

Per vivere non basta che ci sia ossigeno: lo dobbiamo respirare.

La vittoria di Cristo chiede di essere tradotta nei nostri impegni di vita.

È qui la forza della Pasqua, che vediamo già, in qualche modo, operante, nei tanti raggi di luce che stanno solcando il buio di questi giorni di prova. Raggi che, in ultima analisi, hanno la loro misteriosa sorgente proprio nella luce di Cristo Risorto operante nei cuori.

Non è forse un raggio di luce quella commovente dedizione, che sta vedendo medici, infermieri e personale ausiliario, spendersi fino all’eroismo nei nostri ospedali?

Non è forse un raggio di luce, il fatto che, reclusi in casa, stiamo riguadagnando il calore e il valore della famiglia?

Non è forse un raggio di luce, la gara di solidarietà che ci sta facendo prossimi ai più poveri, ai “senza dimora”, agli scartati della società, e sta suscitando in tutti un impegno forte e responsabile, governato da una politica che speriamo trovi la più grande unità di intenti, in vista di una ripresa che si prospetta per tutti così incerta e faticosa?

E infine, non è forse un raggio di luce, il fatto che noi credenti, pur privati del nutrimento eucaristico, ci stiamo inventando mille modi per riscoprire la “Chiesa delle case”, che fu la forza della comunità cristiana primitiva, e promette di essere la leva di una ripresa dell’annuncio cristiano per il futuro?

Occorre seguire fino in fondo la traiettoria di questi raggi di luce, scoprendone la sorgente spirituale e accompagnandone il cammino fino a una nuova alba che vogliamo implorare con ardente preghiera. Ricordiamoci tuttavia che quest’alba non potrà ridursi solo a valori pur importanti di natura sanitaria, economica e sociale. Il grande virus da sconfiggere, accanto e prima del coronavirus, è quello che nel peccato distrugge insieme il nostro rapporto con Dio e la solidarietà fraterna.

San Francesco, patrono d’Italia, ci aiuti a ritrovare la strada maestra verso un futuro di luce.